Cinema

Lost in Translation, nel 2024 by Filippo Venturi

A distanza di anni, ho rivisto Lost in Translation di Sofia Coppola. Ricordavo fosse un buon film, ma questa volta me ne sono innamorato ancora di più.

È uno di quei film in cui sembra accadere poco, ma in realtà accade moltissimo. Due persone diverse, con due solitudini diverse – accentuate anche dalla differenza d’età – si incontrano e condividono un breve, intenso capitolo delle loro vite. Forse è proprio la consapevolezza che si tratti di qualcosa di profondo ma fugace, a renderlo così speciale. Forzare una storia del genere per trasformarla in qualcosa di ordinario non funzionerebbe.

Non è una di quelle avventure giovanili estive, leggere e spensierate, di cui a malapena ricordiamo i dettagli. È un contatto più maturo, quasi una pausa da una realtà troppo ingombrante, una parentesi in una dimensione parallela.

La magia di questa storia prende vita grazie a una sceneggiatura straordinaria (giustamente premiata con l’Oscar) e a una regia elegante, capace di creare atmosfere e suggestioni musicali difficili da ritrovare altrove (qualcosa di simile c'era anche nel suo film Somewhere).

Scarlett Johansson è meravigliosa, ma la mia adorazione va a Bill Murray: quando vidi il film per la prima volta, non lo avrei mai immaginato adatto per un ruolo di questo tipo (per me era ancora quello di Ghostbusters e Ricomincio da capo), e invece qui è perfetto. La sua ironia resta intatta, ma si arricchisce di profondità e fascino.

Il finale, pur ricordandomelo bene, funziona perfettamente. Se la prima volta avevo sentito la necessità di leggere online teorie su cosa si bisbigliassero all’orecchio, ora lo accetto per quello che è: un momento che non ha bisogno di essere spiegato.

Se non lo avete mai visto (o se, come nel mio caso, è passato troppo tempo), vi consiglio di recuperarlo!

Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin) by Filippo Venturi

Ho finalmente visto "Gli spiriti dell’isola" (The Banshees of Inisherin), un film di Martin McDonagh e, come sospettavo, devo riconoscere che è davvero notevole, come i precedenti del regista (In Bruges e Tre manifesti a Ebbing, Missouri).

Il film ha l'atmosfera di una pièce teatrale, con una narrazione intima che si svolge in pochi luoghi che si ripetono, incorniciati dagli splendidi paesaggi irlandesi, e con una grande cura della fotografia. Questo paese, che adoro e in cui sono stato diverse volte, fa da sfondo a una duratura amicizia fra due uomini che improvvisamente viene interrotta da uno dei due. Nel frattempo, di là dal mare, sulla terra ferma, risuonano i bombardamenti (siamo nel 1923).

Le dinamiche con cui questa amicizia si interrompe e si trasfoma in altro, possono sembrare una semplice metafora della guerra civile in corso ma, scavando più a fondo, accorgendosi anche di personaggi che sembrano secondari, emergono diverse stratificazioni narrative e figure enigmatiche che arricchiscono la trama, conferendole una certa complessità e interesse nell'interpretarne i significati, anche collegandosi a miti e leggende dell'Irlanda.

Colin Farrell, che di solito non mi è particolarmente simpatico, qui è magnifico, persino meglio di Brendan Gleeson, un attore che adoro.

Se dovessi trovare un difetto, direi che l'inizio potrebbe sembrare un po' ripetitivo, ma con un cast di questo calibro e una cura così meticolosa di ogni aspetto, è un dettaglio che si dimentica presto. Una volta che il film ingrana, è impossibile non lasciarsi coinvolgere e trasportare.

Proiezione del film "Il Prigioniero Coreano" by Filippo Venturi

Martedì 6 novembre avrò il piacere di tenere un breve intervento, sulla mia esperienza relativa alla penisola coreana e sul progetto fotografico che vi ho svolto, prima della proiezione del film “Il Prigioniero Coreano”, di Kim Ki-duk, a Forlimpopoli. L’evento è organizzato da Amnesty International Forlì!

22° Rassegna Cinema e Diritti Umani, organizzato da Amnesty International - Forlì
Cinema Teatro Verdi Forlimpopoli, Piazza Fratti 7
Martedì 6 Novembre 2018, ore 21-23
Evento Facebook

"Il Prigioniero Coreano" (Corea del Sud 2016, durata 114') - di Kim Ki-Duk
«Fai attenzione: oggi la corrente va verso Sud», lo avvisa una sentinella, ma a fare attenzione, a farne sempre molta, il pescatore Nam Chul-woo ci è abituato. Del resto, non puoi permetterti distrazioni quando abiti in un villaggio della Corea del Nord e ti muovi ogni giorno sulla linea di confine. Una delle sue reti però si aggroviglia attorno all’elica della sua piccola barca, il motore si blocca e la corrente che «va verso Sud» trascina lentamente (inesorabilmente) il povero Nam in zona nemica...
Si apre così Il prigioniero coreano, attesissimo ritorno di Kim Ki-duk alla narrazione politica. Un dramma che sviluppa e moltiplica il tema del doppio, così com'è doppia la Corea, raccontando intensamente una grande storia collettiva attraverso la storia (l'innocenza) di un singolo individuo.