Unione Europea

Georgian Nightmare by Filippo Venturi

Georgian Nightmare
(Tbilisi, Gori, Ergneti, Khurvaleti, border with South Ossetia — 2024)

Georgia, a country positioned between Europe and Asia, is experiencing a highly tense political phase. Despite its historic ties with Russia, it has for several years expressed a clear aspiration toward the West, culminating in its official recognition as a candidate country for the European Union in December 2023. However, the path toward European integration appears increasingly uncertain. In recent months, the ruling party, Georgian Dream, seems to have reversed course: after bringing Georgia closer to the EU, it seems to have adopted a pro-Russian line, made evident with the passage in 2024 of the controversial law on “foreign agents” — after two years of demonstrations and protests by the population — evidently inspired by the Russian norm used to restrict press freedom and NGO activity.

This change in the party's course has sparked deep divisions within the country: on the one hand a large segment of the population, particularly the very young (the so-called Generation Z), dreams of the country's entry into the EU, and on the other a government that seems to be increasingly aligning itself with Moscow's interests. The October 26, 2024 parliamentary elections, won again by the ruling party, were disputed by the opposition and declared fraudulent by pro-European President Salome Zourabichvili, who called the results a “special operation” by Russia (citing the term used by Putin in February 2022, at the start of the invasion of Ukraine). Georgia's future thus remains poised between two opposing forces, the West and Russia, with the latter having been waging a multi-level international hybrid war for years.


Georgian Nightmare
(Tbilisi, Gori, Ergneti, Khurvaleti, confine con l’Ossezia del sud — 2024)

La Georgia, un paese posizionato tra Europa e Asia, sta vivendo una fase forte tensione politica. Nonostante i suoi storici legami con la Russia, da diversi anni ha espresso una chiara aspirazione verso l'Occidente, culminata nel riconoscimento ufficiale come paese candidato all'Unione Europea nel dicembre 2023. Tuttavia, il percorso verso l'integrazione europea appare sempre più incerto. Negli ultimi mesi il partito al governo, Sogno Georgiano, sembra aver invertito la rotta: dopo aver avvicinato la Georgia all’Europea, sembra aver adottato una linea filo-russa, resa evidente con l’approvazione nel 2024 della controversa legge sugli "agenti stranieri"— dopo due anni di manifestazioni e proteste da parte della popolazione — palesemente ispirata alla norma russa utilizzata per limitare la libertà di stampa e l'attività delle ONG.

Questo cambiamento di rotta del partito ha suscitato profonde divisioni interne al paese: da una parte una ampia fetta della popolazione, in particolare i giovanissimi (la cosiddetta Generazione Z), sogna l’ingresso del paese nell'UE, e dall'altra un governo che sembra allinearsi sempre più agli interessi di Mosca. Le elezioni parlamentari del 26 ottobre 2024, vinte nuovamente dal partito di governo, sono state contestate dall’opposizione e dichiarate fraudolente dalla presidente europeista Salome Zourabichvili, che ha definito i risultati una "operazione speciale" della Russia (citando il termine usato da Putin a febbraio 2022, all’avvio dell’invasione dell’Ucraina). Il futuro della Georgia rimane dunque in bilico tra due forze opposte, l’Occidente e la Russia, con quest’ultima che da anni sta portando avanti una guerra ibrida internazionale su più livelli.



Le elezioni in Georgia del 26 ottobre 2024 hanno rappresentato un momento cruciale per il futuro del Paese. Si tratta dell'ennesima democrazia europea che si trova ad affrontare una prova difficile, divisa tra l'aspirazione di avvicinarsi all'Unione Europea e le pressioni russe, che mirano a riportarla sotto l'influenza di Putin.

Il 26 ottobre 2024 si è votato in Georgia per le elezioni parlamentari. È stato un momento cruciale per le sorti del paese, per capire se nel prossimo futuro la Georgia, che tradizionalmente ha legami molto stretti con la Russia, continuerà l’avvicinamento all'Unione Europea. La Georgia è ufficialmente un paese candidato all'integrazione europea dal dicembre 2023 (dopo aver fatto richiesta formale nel marzo 2022), ma negli ultimi anni il suo governo sembra aver interrotto tale percorso, per spostarsi su posizioni sempre più filorusse.

Nell’aprile 2024, molteplici proteste portate avanti da migliaia di cittadini avevano avuto luogo per cercare di impedire (senza successo) l'approvazione di una legge contro i cosiddetti “agenti stranieri” (tutte quelle associazioni che ricevono almeno il 20% dei propri fondi dall’estero), ispirata a una legge simile in vigore in Russia dal 2012 e che il regime di Vladimir Putin ha usato per far chiudere media indipendenti, ONG e associazioni della società civile.

Nel 2023 proteste analoghe erano riuscite a spingere il governo a ritirare questa legge ma, quest’anno, non sono bastate a evitare una legge che, per i manifestanti, indebolisce ulteriormente la democrazia georgiana e ostacola l’ingresso del paese nell’UE, desiderato da circa l’80% della popolazione. Nemmeno il veto posto dalla presidente della Repubblica ed europeista, Salome Zourabichvili, ha potuto fermare questa legge, avendo il governo abbastanza voti in Parlamento per aggirarlo.

Il partito al governo, Sogno Georgiano — fondato dal miliardario Bidzina Ivanishvili, sempre allineato alle posizioni del regime russo — ha basato gran parte della sua campagna sull'accusa che l’Occidente starebbe finanziando delle ONG in Georgia per fomentare una rivoluzione che porterebbe instabilità e che metterebbe il paese contro la Russia, e dunque contro i suoi interessi. Questa motivazione è simile alla retorica usata da Vladimir Putin, contro i suoi oppositori interni, accusati di essere manovrati dall’Occidente per danneggiare la Russia, e a quella usata dal dittatore bielorusso Alexander Lukashenko, quando ha represso con violenza le proteste popolari interne. Nei mesi in cui è stata riproposta e in seguito approvata la legge sugli “agenti stranieri”, il governo sembra aver assunto una posizione più apertamente ostile all’Occidente. Domenica 20 ottobre 2024, a Tbilisi (capitale della Georgia), decine di migliaia di persone hanno manifestato nuovamente a favore dell'ingresso della Georgia nell'Unione Europea.

Domenica 27 ottobre 2024, il giorno dopo le elezioni, la Presidente della Georgia, Salome Zourabichvili ha denunciato la falsificazione delle elezioni legislative avvenute sabato 26 ottobre e vinte dal partito filorusso già al potere, Sogno Georgiano. Le stesse elezioni erano state contestate dall'opposizione in giornata. Oltre a dichiarare illegittimi i risultati delle elezioni, definendole una "operazione speciale" russa, Zourabichvili ha annunciato una grande protesta per la sera di lunedì 28 ottobre, in cui è stata ufficializzata la richiesta di ripetere le elezioni. Un'altra manifestazione è seguita il lunedì successivo. Tutto ora è nelle mani di UE e USA e delle eventuali pressioni diplomatiche itnernazionali per far ripetere le elezioni; nel frattempo i partiti di opposizione hanno rifiutato di prendere posto nel nuovo Parlamento eletto.

Intervista con Emuse sul Laboratorio My Dear by Filippo Venturi

E’ uscito sul sito della Casa Editrice emuse, una intervista nella quale parlo dell’ultimo libro fatto insieme, “My Dear”, che contiene il risultato del Laboratorio fotografico omonimo che ho condotto, in collaborazione con l’associazione Between, nell’ambito del progetto europeo Shaping Fair Cities. Questo laboratorio ha visto protagoniste 20 donne di 9 nazionalità diverse!

L’articolo originale è disponibile qui: emuse incontra Filippo Venturi nella veste di insegnante e divulgatore di progetti fotografici

IL LIBRO

Fotografie di: Barbara Kulik, Graziella Paganelli, Ilaria Liu, Ilaria Zozzi, Khadija M'Goun, Kinga Paprota, Livia Cartas, Lorenza Fabbio, Mariama Dieng, Marina Bellavista, Nadiia Kovalchuk, Salomè Emperatriz San Martin, Svetlana Mocanu, Yujuan Chen.

Testi di:
Luciana Garbuglia (presidente dell’Unione Rubicone e Mare), Valeria Gentili (presidente dell’Associazione di promozione sociale Between), Elena Dolcini (Curatrice e Critica d’arte), Filippo Venturi (Fotografo e Docente del laboratorio)

Casa editrice Emuse, ISBN: 978-88-32007-42-8
Direttore editoriale: Grazia Dell’Oro
Coordinamento editoriale: Filippo Venturi
Progetto grafico: Denis Pitter

Il laboratorio “My Dear”, inserito all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities, è stato rivolto a venti donne che vivono in Romagna (a Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant'Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli e Gatteo) e coinvolte dall’Associazione Between. Le protagoniste sono di nove nazionalità diverse (italiana, rumena, polacca, bulgara, ucraina, cinese, peruviana, senegalese e marocchina), hanno un range di età che va da 22 a 65 anni e lavorano in diversi ambiti: assistenti familiari, impiegate, operaie, mediatrici culturali, bariste, ecc.

La finalità del laboratorio era il perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Alle donne coinvolte nella realizzazione di un proprio progetto fotografico, sono state assegnate delle macchine fotografiche usa e getta con rullini da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive che hanno richiesto l'uso di altri mezzi). Questa scelta è stata dettata dal desiderio di fornire uno strumento di lavoro dedicato, che non fosse fonte di distrazione (come può essere uno smartphone) e col quale fosse necessario fermarsi a riflettere prima di fotografare, avendo un numero predefinito di tentativi. Avere delle limitazioni (di spostamento a causa della pandemia, di numero di scatti realizzabili, ecc.) spinge le persone a prendere coscienza della situazione e a ingegnarsi per trovare una via per esprimersi.

Il laboratorio è stato avviato nell’autunno 2020 ed è durato circa sei mesi. L’ideazione e la progettazione risalivano a dodici mesi prima, quando ancora le nostre vite non erano state stravolte dal Covid-19. La pandemia ha trasformato questo percorso rendendolo tortuoso e mettendone a rischio il raggiungimento del traguardo ma, presto, ha reso più coeso il gruppo, consentendogli di attraversare la tempesta e uscirne rafforzato.

La condivisione delle difficoltà nel periodo di emergenza sanitaria, gli stratagemmi digitali per mantenere il contatto anche quando il lockdown impediva di incontrarsi, il desiderio di raccontare con la fotografia le proprie vite, ha portato a un risultato profondo e interessante. Come spesso accade, le esperienze più segnanti sono quelle che si portano a termine fra imprevisti e difficoltà.

I progetti realizzati si sono focalizzati su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa del distanziamento sociale e dei dispositivi per prevenire il contagio. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze costellato da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutte convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Lo strumento fotografico per un lungo periodo è stato riservato a pochi professionisti. Da diverso tempo però si è assistito a un rapido processo di “democratizzazione” della fotografia. Chiunque può scattare una fotografia, anche senza strumentazione specifica, e può avere un ruolo da protagonista nel flusso comunicativo. Non solo, con le fotografie si può contribuire ad attivare processi sociali e influenzare la percezione pubblica.

L’INTERVISTA

Filippo Venturi ha recentemente organizzato un laboratorio fotografico in collaborazione con l’associazione Between nell’ambito del progetto europeo Shaping Fair Cities. Il laboratorio ha coinvolto venti donne di diverse nazionalità residenti in Romagna e dai loro lavori è nato un libro edito da emuse: My Dear.

Grazia Dell’Oro l’ha intervistato.

Filippo, durante questo ultimo anno, nonostante la situazione pandemica, sei stato molto attivo. Hai prodotto lavori che sono stati pubblicati su importanti riviste. In che modo questa nuova situazione che stiamo vivendo ti ha stimolato?
Inizialmente la pandemia ha rappresentato un blocco: oltre a dover rinunciare ad un grosso progetto in Cina, molti eventi che avrei dovuto documentare solo saltati. Per fortuna, pochi giorni dopo l’inizio del primo lockdown in Italia, qualcosa è scattato dentro di me e ho iniziato a documentare la pandemia sotto tutti i punti di vista che ritenevo interessanti. Solitamente non lavoro sulla stretta attualità, ma in questo caso mi sono trovato proprio al centro dell’attualità (l’Italia è stato il primo paese occidentale a subire i primi gravi effetti del Covid-19). Il primissimo lavoro che ho svolto è stato ritrarre e intervistare 40 rider sul cancello di casa mia; un’idea semplice ma efficace per adattarmi ai limiti imposti dal lockdown e che ha colpito molto i photoeditor di The Guardian che gli hanno dato ampio spazio. Poi, spinto dai primi buoni risultati, ho continuato la mia documentazione anche all’esterno, nel mio quartiere, in ospedale, nelle case dei malati, nel settore teatrale, ecc. e sono arrivate pubblicazioni su The Washington Post, Marie Claire, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, ecc. È stata una esperienza molto formativa e positiva. Sono soddisfatto della reazione che ho avuto: tentare di rimanere lucido e attivo. Penso che ciò mi abbia permesso anche di non subire troppo gli effetti psicologici negativi di questo evento epocale.

My Dear è stato pensato come laboratorio di fotografia partecipativa. Come è nato e quale è stato l’intento del lavoro che hai condotto con le donne che hanno aderito?
Da alcuni anni mi è capitato di essere coinvolto, da parte di alcune Associazioni con cui avevo già collaborato, in alcuni progetti finanziati dall’Unione Europea o da altri Enti statali. È un settore che, se sfruttato a dovere (non a caso ci sono professionisti che si specializzano nel cercare questi bandi e nel preparare i progetti), consente di accedere a risorse importanti per sviluppare percorsi molto utili a livello sociale e anche artistico. Il laboratorio My Dear nasce all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities ed ha come finalità perseguire l’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030, cioè “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Credo che si possa dire che gli esiti del laboratorio sono stati superiori alle aspettative, per qualità e coerenza dei lavori fotografici. Quando ti sei reso conto che, in qualche modo, l’idea aveva attecchito?
In una prima fase mi ha colpito notevolmente la partecipazione delle venti donne che si sono interessate al laboratorio. Con la pandemia che colpiva ripetutamente il paese e rendeva impossibile condurre una vita sociale normale, mi ero rassegnato a veder ridursi il numero delle partecipanti, invece c’è stato uno spirito di adattamento notevole: se non potevamo incontrarci di persona, organizzavamo delle webcall, se non tutte riuscivano ad essere presenti, organizzavamo delle sessioni dedicate in qualunque giorno della settimana e orario. Se nemmeno quello era possibile, usavamo Whatsapp per comunicare, vedere il materiale prodotto e confrontarci. A livello umano è stata una esperienza incredibile e questo desiderio comune di portare a termine il percorso iniziato insieme avrebbe rappresentato già un grande traguardo. Poi, vedendo il frutto dei loro progetti, pur non essendo fotografe esperte, mi rendo conto che il risultato è andato oltre ogni aspettativa!

Come intendi sviluppare le esperienze che stai raccogliendo come insegnante o animatore di gruppi che hanno come obiettivo l’indagine sul tema dell’identità attraverso il mezzo fotografico?
Fino a qualche anno fa non mi vedevo a tenere corsi di fotografia (ero molto concentrato su di me e i miei progetti) eppure, assecondando alcune richieste, ho scoperto che mi piace insegnare. Lo stesso è accaduto con questi laboratori dove, oltre all’insegnamento, c’è una fase importante di incontro e conoscenza con i partecipanti e sviluppo di progetti individuali che però siano legati da un filo conduttore. Ho ricevuto diverse proposte per continuare a lavorare anche in questo settore e un paio di progetti saranno avviati questa estate e nel prossimo autunno. Anche questi li sento ormai come “miei progetti”, semplicemente sono svolti come se io e i partecipanti fossimo una sorta di collettivo.

Filippo, ci siamo conosciuti in occasione dei tuoi lavori Made in Korea & Korean Dream, un ambizioso progetto che intendeva mettere in relazione e a confronto le due Coree, gli esiti differenti di una storia tanto comune quanto, da un certo momento in poi, divergente. Come senti quei due lavori a qualche anno di distanza?
Sono lavori che stanno invecchiando bene. Le tematiche su cui ho focalizzato i due capitoli del progetto, uno sulla Corea del Sud e l’altro su quella del Nord, sono ancora molto attuali e i lavori, pur a distanza di diversi anni, stanno attirando ancora attenzioni, riconoscimenti e proposte espositive (alcune sono in sospeso, in attesa di capire come svolgerle compatibilmente con l’emergenza sanitaria). Sicuramente rappresentano un passaggio importante nel mio percorso di fotografo documentarista e anche come autore. A proposito, nel corso dell’ultimo anno mi sono annotato diversi temi e fenomeni, sempre riguardanti la penisola coreana, che vorrei approfondire e non escludo di tornarci nel prossimo futuro!

Filippo Venturi è nato a Cesena nel 1980. Fotografo documentarista. Realizza progetti su storie e problematiche riguardanti l’identità e la condizione umana. I suoi lavori sono stati pubblicati su giornali come The Washington Post, The Guardian, Financial Times, Newsweek, Geo, Vanity Fair e Internazionale. Negli ultimi anni si è dedicato a un progetto sulla penisola coreana. Insegna fotografia e conduce workshop fotografici nell’ambito di diversi progetti europei.

Con emuse ha pubblicato Made in Korea & Korean Dream.

E' uscito il libro sul Progetto My Dear by Filippo Venturi

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Fotografie di: Barbara Kulik, Graziella Paganelli, Ilaria Liu, Ilaria Zozzi, Khadija M'Goun, Kinga Paprota, Livia Cartas, Lorenza Fabbio, Mariama Dieng, Marina Bellavista, Nadiia Kovalchuk, Salomè Emperatriz San Martin, Svetlana Mocanu, Yujuan Chen.

Testi di:
Luciana Garbuglia (presidente dell’Unione Rubicone e Mare), Valeria Gentili (presidente dell’Associazione di promozione sociale Between), Elena Dolcini (Curatrice e Critica d’arte), Filippo Venturi (Fotografo e Docente del laboratorio)

Casa editrice Emuse, ISBN: 978-88-32007-42-8
Direttore editoriale: Grazia Dell’Oro
Coordinamento editoriale: Filippo Venturi
Progetto grafico: Denis Pitter


Il laboratorio “My Dear”, inserito all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities, è stato rivolto a venti donne che vivono in Romagna (a Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant'Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli e Gatteo) e coinvolte dall’Associazione Between. Le protagoniste sono di nove nazionalità diverse (italiana, rumena, polacca, bulgara, ucraina, cinese, peruviana, senegalese e marocchina), hanno un range di età che va da 22 a 65 anni e lavorano in diversi ambiti: assistenti familiari, impiegate, operaie, mediatrici culturali, bariste, ecc.

La finalità del laboratorio era il perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Alle donne coinvolte nella realizzazione di un proprio progetto fotografico, sono state assegnate delle macchine fotografiche usa e getta con rullini da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive che hanno richiesto l'uso di altri mezzi). Questa scelta è stata dettata dal desiderio di fornire uno strumento di lavoro dedicato, che non fosse fonte di distrazione (come può essere uno smartphone) e col quale fosse necessario fermarsi a riflettere prima di fotografare, avendo un numero predefinito di tentativi. Avere delle limitazioni (di spostamento a causa della pandemia, di numero di scatti realizzabili, ecc.) spinge le persone a prendere coscienza della situazione e a ingegnarsi per trovare una via per esprimersi.

Il laboratorio è stato avviato nell’autunno 2020 ed è durato circa sei mesi. L’ideazione e la progettazione risalivano a dodici mesi prima, quando ancora le nostre vite non erano state stravolte dal Covid-19. La pandemia ha trasformato questo percorso rendendolo tortuoso e mettendone a rischio il raggiungimento del traguardo ma, presto, ha reso più coeso il gruppo, consentendogli di attraversare la tempesta e uscirne rafforzato.

La condivisione delle difficoltà nel periodo di emergenza sanitaria, gli stratagemmi digitali per mantenere il contatto anche quando il lockdown impediva di incontrarsi, il desiderio di raccontare con la fotografia le proprie vite, ha portato a un risultato profondo e interessante. Come spesso accade, le esperienze più segnanti sono quelle che si portano a termine fra imprevisti e difficoltà.

I progetti realizzati si sono focalizzati su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa del distanziamento sociale e dei dispositivi per prevenire il contagio. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze costellato da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutte convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Lo strumento fotografico per un lungo periodo è stato riservato a pochi professionisti. Da diverso tempo però si è assistito a un rapido processo di “democratizzazione” della fotografia. Chiunque può scattare una fotografia, anche senza strumentazione specifica, e può avere un ruolo da protagonista nel flusso comunicativo. Non solo, con le fotografie si può contribuire ad attivare processi sociali e influenzare la percezione pubblica.

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