Reportage
La Biblioteca Malatestiana, Memoria del Mondo /
Nel cuore della Romagna, a Cesena, vi è la Biblioteca Malatestiana: l’unico esempio al mondo di biblioteca monastico-rinascimentale rimasta intatta in ogni sua parte, dagli arredi originali, alla dotazione libraria. L'Unesco nel 2005 l'ha inserita – prima realtà in Italia – nel Registro della Memoire du Monde. Nel corso della sua storia secolare, è sopravvissuta alle spoliazioni napoleoniche, ha sedotto e rifiutato Ezra Pound, ha acquisito la biblioteca personale del Papa cesenate Pio VII e ha ispirato Umberto Eco per il suo romanzo "Il Nome della Rosa". Ancora oggi mantiene le sembianze di oltre 500 anni fa. Del restauro e della cura dei codici si occupano con passione ragazze e donne restauratrici italiane e straniere.
Costruita in stile rinascimentale, su desiderio dei Frati Francescani e grazie ai fondi concessi da Domenico Malatesta (detto Novello Malatesta), Signore di Cesena, venne aperta al pubblico nel 1454. Oggi vi sono conservati circa 250.000 volumi, di cui 287 incunaboli, circa 4.000 cinquecentine, 1.753 manoscritti che spaziano fra il XVI secolo e il XIX secolo e oltre 17.000 lettere e autografi. Nella sezione moderna della biblioteca sono presenti oltre centomila volumi. Per dare l'idea del valore della Biblioteca Malatestiana e dei codici che contiene, basti pensare che un codice nel XIV secolo poteva costare anche 80 corone d'oro, cioè il prezzo di una casa di piccole dimensioni.
Nel 1798, durante l'occupazione napoleonica e le conseguenti spoliazioni, i preziosi volumi della Biblioteca vennero trasferiti temporaneamente a causa della trasformazione dell’edificio in dormitorio per le truppe francesi.
Ezra Pound – poeta e saggista americano – nel 1925 si stabilì in Italia e visitò anche la Biblioteca Malatestiana di Cesena, città che riteneva fra le prime ad aver visto sorgere il Rinascimento italiano. Accompagnato nella visita dall'allora direttore Manlio Torquato Dazzi, rimase estasiato dalle architetture e dallo stato di conservazione degli arredi e dei codici (libri antichi di pergamena scritti a mano e decorati), al punto di prendere la decisione di donare una copia dei suoi Cantos (all'epoca ne esistevano soltanto 16), a patto che venissero posti nella sala antica, in mezzo ai codici originali medievali e rinascimentali. Con sua grande sorpresa, Manlio Torquato Dazzi rifiutò perché, pur essendo i Cantos un capolavoro letterario, era un poema del 1900 e avrebbe compromesso la fedeltà storica lì conservata e preservata.
Umberto Eco, nel 1980, presentando il suo celebre romanzo "Il Nome della Rosa", dichiarò che si era ispirato anche alle atmosfere e architetture della Biblioteca Malatestiana di Cesena. Nel romanzo, non a caso, viene citata la figura del religioso Frate Michele da Cesena, realmente esistito.
CSAT, Suneung (South Korea) /
(in italiano sotto)
Every year in November, South Korea holds the college entrance exam, called Suneung or also CSAT (College Scholastic Ability Test), which lasts 9 hours and involves about 500.000 students. This year it was held on November 17, 2023.
For young South Koreans, it represents a very important step that will decide their future: depending on their results, they will either be able to enter the most prestigious universities, the so-called SKY (Seoul University, Korea University and Yonsei University), or they will have to scale back their own expectations and (especially) those of their parents.
South Korean society is characterized by a very high level of competition, touching on school, university, work, and even aesthetics. Young people find themselves growing up with the same ideals in mind and passing through compulsory stages: the best grades to get into the best universities that will lead to the best jobs. The country pushes young people toward an alienating and surreal standardization, the exact opposite of what happens in many Western countries, where success is achieved by standing out from the crowd.
For this reason, Suneung represents the most stressful time in a South Korean student's life. The psychological pressure on girls and boys is enormous, even in the family environment, the stress level is extremely high, and failure can lead to serious consequences such as depression, social isolation, alcoholism or suicide (South Korea is one of the countries with the highest suicide rate in the world).
To make it easier for students to cope with the exam, the South Korean government takes various measures, such as changing airline flight schedules so that they do not disturb with their noise, especially during the conduct of the English test. Businesses and government offices open only after the exam has begun, to prevent students from encountering traffic and arriving late. Cabs are free for the entire test day. Police officers are made available to drive those students to school who are in danger of arriving late and missing the test.
Ogni anno, nel mese di novembre, in Corea del Sud si svolge l'esame di ammissione all'università, chiamato Suneung o anche CSAT (College Scholastic Ability Test), della durata di 9 ore e che coinvolge circa 500 mila studenti. Quest'anno si è tenuto il 17 novembre 2023.
Per i giovani sudcoreani rappresenta un importantissimo step che deciderà il loro futuro: in base al risultato ottenuto potranno accedere alle università più prestigiose, le cosiddette SKY (Seoul University, Korea University e Yonsei University), oppure dovranno ridimensionare le proprie aspettative e (soprattutto) quelle dei genitori.
La società sudcoreana è caratterizzata da una competizione molto elevata, che tocca l'ambito scolastico, universitario, lavorativo e anche estetico. I giovani si trovano a crescere avendo in mente gli stessi ideali e passando per tappe obbligatorie: i migliori voti per accedere alle migliori università che consentiranno di arrivare ai migliori lavori. Il paese spinge i giovani verso una standardizzazione straniante e surreale, l'esatto contrario di quanto avviene in molti paesi occidentali, dove il successo è raggiunto distinguendosi dalla massa.
Per questo motivo il Suneung rappresenta il momento più stressante della vita di uno studente sudcoreano. La pressione psicologica verso ragazze e ragazzi è enorme, anche in ambito familiare, il livello di stress è altissimo e un insuccesso può portare a gravi conseguenze come depressione, isolamento sociale, alcolismo o suicidio (la Corea del Sud è uno dei paesi col tasso di suicidi più alto al mondo).
Per facilitare gli studenti nel sostenere l’esame, il governo sudcoreano adotta varie misure, come quella di modificare gli orari dei voli aerei in modo che non disturbino col loro rumore, in particolare durante lo svolgimento della prova di inglese. Le attività commerciali e gli uffici pubblici aprono solo dopo che l'esame è iniziato, per evitare che gli studenti possano trovare traffico e arrivare in ritardo. I taxi sono gratuiti per l'intera giornata di test. Agenti di polizia sono messi a disposizione per accompagnare a scuola quegli studenti che rischiassero di arrivare in ritardo e saltare il test.
Alluvione in Emilia Romagna /
Cesena, 19 maggio 2023, quartiere San Rocco e dintorni, dove ho vissuto per oltre 20 anni.
Oggi, dopo tanto tempo, ne ho girato le vie e ho rivisto vecchi amici. Nonostante ci si muovesse tutti fra pezzi di case, ricordi e oggetti distrutti, l'entusiasmo e la determinazione degli abitanti e dei volontari trasmettevano una grande speranza ❤
Forlì, 21 maggio 2023, quartiere Romiti, "Di Abdul e altre storie".
Quando ho visto una ventina di ragazzi di origine africana far parte di una lunga catena di persone che si passavano secchi pieni di fango, mi sono venute in mente alcune persone che dal divano di casa hanno sentenziato che migranti e stranieri non stanno aiutando gli italiani.
Alla fine ho scoperto che in quel condominio, su Via Sapinia, abita Abdul, un ragazzo senegalese che ha chiesto aiuto ai propri amici, accorsi anche dai paesi limitrofi, perché parte degli abitanti del condominio sono anziani e quindi in difficoltà nello svolgere le operazioni faticose e prolungate necessarie per pulire tutto il cortile, i garage e le cantine.
Proseguendo per le vie della mia città di adozione, mi sono imbattuto in tanta umanità di ogni varietà e in mille storie, intuibili dai dialoghi ascoltati per caso, dagli sguardi, dai messaggi sulle magliette indossate, da gesti reciproci di solidarietà e dalla volontà di creare gruppo.
Diario nord coreano /
Diario nord coreano
(2017)
Una versione di questo testo, ridotta a circa 11 mila battute, è uscita qualche anno fa nella rivista Il Reportage. Questa è invece la versione integrale di circa 27 mila battute. Non si tratta di un diario esauriente di quel viaggio, ma è l’insieme di alcune note e alcune vicende che ho registrato mentalmente. Con me avevo anche un quaderno che ho usato per annotarmi alcune informazioni innocue, ma nel quale non sarebbe stato saggio scrivere pensieri che sarebbero potuti essere letti dalle autorità nord coreane e causarmi complicazioni prima del rientro in Italia.
È un pomeriggio di marzo quando ricevo l'attesa notizia che le autorità nord-coreane hanno approvato il progetto che intendo realizzare nel loro paese. Mi era stato richiesto di preparare una minuziosa relazione, che è stata da loro letta, vagliata e giudicata. Ora posso finalmente dedicarmi ai preparativi del viaggio.
Realizzare un lavoro in Corea del Nord è il mio pallino fisso da quasi due anni, da quando cioè ho svolto quello sulla Corea del Sud. A fotografi e giornalisti non è consentito entrare nel paese col visto turistico: chi lo ha fatto, mentendo, ha corso un grosso rischio, e gli è toccato accontentarsi del tour guidato decretato per i turisti. Per questo ho cercato, per mesi, un contatto che mi aiutasse nei rapporti con le autorità e, garantendo per me, mi facesse ottenere l’agognato visto da giornalista. Per sostenere le spese che affronterò nel visitare il paese, ho coinvolto la rivista Vanity Fair e con me partirà anche una loro giornalista, Imma Vitelli.
È a questo punto che il mio contatto inizia a recitarci, quasi quotidianamente, per telefono ed email, il mantra delle regole non scritte che dovremo rispettare per poter svolgere il nostro lavoro e tornare a casa senza intoppi: in quanto inviati di un giornale saremo considerati sorvegliati speciali. Io e Imma saremo aiutati durante il nostro soggiorno da quattro guide – si potrebbe (anche) dire "scortati da quattro controllori" – ossia un autista, un fotografo incaricato di controllarmi, censurarmi e persino di fotografarmi per documentare ai suoi superiori le mie attività, una guida che parla italiano e un'altra che parla inglese e spagnolo. Non potremo uscire dall'albergo senza di loro; verranno a prenderci ogni mattina e ci riporteranno alla sera, accompagnandoci nei luoghi che abbiamo indicato nella relazione e deliziandoci con proposte integrative: è loro cura assicurarsi che non ci sfugga che magnifico paese sia la Corea del Nord.
In hotel ci saranno telecamere ovunque. Saranno sicuramente negli spazi comuni e negli ascensori ma dovremo essere prudenti anche all'interno delle nostre camere, dove ci ascolteranno dei microfoni. Dovremo assolutamente evitare di parlare del Supremo Leader e soprattutto di farci ironia o di criticarlo. Meglio parlare poco e in modo chiaro per evitare equivoci: i coreani vedono ogni occidentale come una possibile spia.
Dovremo dimostrare costantemente il nostro rispetto verso i Leader, partendo dal primo giorno, quando dovremo donare spontaneamente un mazzo di fiori al monumento dei Leader Kim Il Sung e Kim Jong-il – rispettivamente nonno e padre dell'attuale Leader Kim Jong-un. La procedura è ben definita: prima appoggeremo le nostre borse a terra, poi ci inchineremo a 90 gradi esatti. Non dovremo rialzarci per almeno cinque secondi, mantenendo uno sguardo solenne.
La partenza è prevista in maggio, da Roma. Prenderemo un volo per Pechino, poi uno per Yantai e infine per Dandong – città cinese al confine con la Corea del Nord – per un totale di circa venti ore tra voli e attese. A Dandong passeremo due notti e una giornata intera, esplorando il confine dal lato cinese, lungo il fiume Yalu, per poi prendere nel secondo giorno il treno, al mattino presto, che in sei ore raggiungerà Pyongyang attraversando le campagne coreane.
Il treno che ci porta a Pyongyang, appena varcato il confine, viene fatto fermare in territorio coreano, dove decine di soldati salgono a bordo, entrando in ogni scompartimento per perquisire e interrogare i viaggiatori. A bordo siamo rari esemplari di occidentali e attiriamo sguardi e curiosità. Dividiamo lo scompartimento con un ragazzo cinese e una coppia di mezza età composta da un cinese e una coreana. Quando un soldato arriva nel nostro scompartimento, ci invita a uscire in corridoio per poi chiamarci dentro uno alla volta per controllare il contenuto dei badagli e procedere con l'interrogatorio. Il contatto ci aveva preparato anche a questo.
Arriva il mio turno. Devo compilare un questionario dove dichiaro che sono un fotografo e cosa intendo fare in Corea del Nord. Elenco il materiale in mio possesso, in particolare l'attrezzatura fotografica: 3 fotocamere, 4 obiettivi, 1 cavalletto, 1 smartphone e una infinità di batterie e memorie in grado di garantirmi autosufficienza per le due settimane di viaggio: temendo i blackout elettrici, frequenti in, ho voluto essere previdente. Su consiglio, non ho preso con me il computer portatile che avrebbe reso ancora più complessi i controlli e aumentato la perdita di tempo. Nel questionario mi viene chiesto se ho con me la Bibbia, pongo il segno su No. Mentre sono indaffarato ad aprire ogni cerniera e ogni tasca dei miei bagagli per mostrarne il contenuto, il militare mi interrompe chiedendomi in un inglese minimale «No Bibbia?», «No». Sto riordinando le mie cose nelle rispettive tasche, quando mi domanda «Tre fotocamere?», «Sì». «No Bibbia?», «No». «Quattro fotocamere?», «No, tre». «No Bibbia?», «No». «Quanti cavalletti?», «Uno», lo tocca, «È questo?», «Sì». Rispondo sempre guardando negli occhi il militare. La cosa va avanti per un po': l'interrogatorio verte sul ripetere le domande con frequenza e vedere se cambio risposta, cadendo in contraddizione. Dal momento che non sto mentendo, risulta semplice restare coerente. Mi domando se vorrà vedere le fotografie che ho scattato, quelle fatte da Dandong verso la costa coreana, saranno un problema. Poi mi ricordo di altri scatti fatti in stazione, dove i pochi viaggiatori coreani si riconoscono dai cinesi per i vestiti e le borse di bassa qualità. Più che borse sono scatole di cartone e sacchi insolitamente grandi avvolti nelle plastiche, probabilmente non contengono oggetti personali, ma prodotti destinati al mercato nero che ha preso piede recentemente in Corea e che è tollerato dal Governo. Il militare conclude la sua ispezione e passa oltre.
Quando il treno riparte, il clima è più disteso in tutto lo scompartimento. Il ragazzo cinese si apre, raccontandoci di essere un imprenditore: si occupa di abbigliamento. La produzione però viene affidata a lavoratori nord-coreani perché guadagnano ancora meno dei cinesi e quindi per lui rappresentano un risparmio sulla manodopera.
Mi aspettavo dei controlli costanti durante il viaggio in treno, invece sono libero di raccogliere materiale fotografico e video delle campagne, delle risaie, delle piantagioni di soia che ricoprono il paesaggio fino all'orizzonte, dei villaggi quasi medievali e dei rari coreani che guardano il treno passare, seduti ai lati della ferrovia o mentre camminano lungo strade spesso non asfaltate. Il tempo grigio e piovoso, gli edifici fatiscenti e gli sporadici gruppi di persone coperti da impermeabili e ombrelli colorati, coordinati da pochi militari, privano dell'innocenza il paesaggio di campagna. Di tanto in tanto qualche coreano si gira e sorride al treno, qualcuno sembra notare proprio me.
La stazione di Pyongyang è essenziale e sovradimensionata per le persone che contiene; scoprirò in seguito che è caratteristica comune a tutti i luoghi che visiterò. Le guide ci accolgono con sorrisi e con fare garbato; non dubito che possano essere brave persone con la sfortuna di crescere in uno dei paesi meno liberi al mondo. Al tempo stesso ricordo le parole del contatto: «Probabilmente si creerà un rapporto socievole e prenderemo confidenza, ma non dovrete mai abbassare la guardia ed esporvi, pensando di essere fra amici».
Viaggiamo stipati in un antico furgoncino giapponese; se su altri aspetti hanno una cura maniacale nell'esibire ordine e sfarzo, sui mezzi di trasporto vanno al risparmio. La prima tappa è il Yanggakdo Hotel: un albergo di 46 piani, spesso utilizzato per ospitare turisti e giornalisti, il cui nome significa “Corna di pecora” per via della forma dell’isola su cui è costruito. Vista l'ubicazione, qualche visitatore lo ha soprannominato Alcatraz.
Facciamo il check-in, lasciamo i bagagli, una rinfrescata in bagno, poi scendiamo di nuovo nella hall dove ci attendono le guide per portarci a cena. Il sole è ormai tramontato e noi sfrecciamo nel buio delle strade – l'elettricità è preziosa qui –, asfaltate ma corrose. L'autista guida sicuro, si alterna fra le quattro corsie di continuo, facendo lo slalom fra le buche. Non c'è traffico – e non lo troveremo mai –, in compenso le strade brulicano di pedoni intenti ad attraversare. Qui la precedenza è sempre data ai veicoli a motore e i semafori sono rari, una scelta forse dettata dalla volontà di risparmiare carburante, un bene pregiato vista la difficoltà nel reperire petrolio e derivati con l'embargo internazionale che vige da oltre 10 anni (le sanzioni furono imposte nel 2006 da USA, ONU e UE dopo il primo test nucleare). In queste prime ore socializziamo soprattutto con le guide Kim (che parla italiano) e Choe (inglese e spagnolo). Sebbene l'italiano di Kim sia sgangherato, ci chiede di parlarlo così da consentirgli di allenarsi; Kim è una guida importante per la KITC, l'agenzia turistica governativa, perché in tutto il paese soltanto 15 persone hanno studiato e parlano italiano. «Kim, a cosa servono le strisce pedonali se non facciamo mai passare i pedoni?» «Quando ci sono le strisce le automobili rallentano, ma non si fermano».
Ceniamo in una struttura che, al piano terra, è adibita a negozio di abbigliamento e al primo piano è occupata da un ristorante; scopriremo che in Corea è una cosa frequente. Il ristorante è pulito e curato ma l'abbondanza di colori, stili e ornamenti lo rende kitsch. Quattro cameriere si prendono cura del nostro tavolo da sei, considerando che il resto del locale è vuoto (circostanza che si ripeterà spesso durante il viaggio). Il clima è disteso, iniziamo a fare conoscenza, il cibo è buono e si basa su riso, frittata, kimchi (cavolo fermentato) e altre verdure. Di tanto in tanto l'occhio mi cade su una parete del ristorante ricoperta da una proiezione di orchestre e marce militari che celebrano la grandezza del paese.
Kim ci racconta che gli Stati Uniti minacciano sempre il suo paese, ma loro adesso hanno tutto per poter rispondere alla guerra, alludendo alla bomba atomica. Sembra un bambino contento dei propri giocattoli. Sottolineerà spesso, durante il nostro soggiorno, che «Quando gli Stati Uniti pungiano, noi pungiamo più forte». Aggiunge poi che negli anni '50 gli USA hanno lanciato 300.000 bombe su Pyongyang, praticamente una bomba per ciascun abitante della città di quel periodo. Le tensioni fra Stati Uniti e Corea del Nord sono aumentate con la presidenza di Trump che, dopo ogni test missilistico coreano, usa sempre più spesso l'espressione "ogni opzione è sul tavolo", accarezzando quasi con piacere il termine "guerra".
In seguito scoprirò che tutti i pasti sono pianificati scrupolosamente: a volte ceneremo con le guide, altre volte io e la giornalista verremo lasciati da soli, mentre loro consumeranno il proprio pasto in una stanza adiacente. Forse per una genuina cortesia di lasciarci un po' di privacy o forse per registrare le nostre conversazioni quando penseremo di essere soli.
Kim, oltre all'italiano, ha studiato anche la storia del nostro paese, antichi romani compresi. Imma, per stuzzicarlo, gli domanda se sa chi era Giulio Cesare, «Sì», se sa che è stato un dittatore, «Sì» proprio come il tuo Leader, «No!». Si ribella all'accostamento perché in Corea si vota ogni 4 anni e Kim Jong-un è stato eletto con il 100% di voti. «Kim, è normale secondo te?», «Sì». «Se ci fosse un nord-coreano che non apprezzasse il Leader, cosa gli succederebbe?». Kim ci pensa un po'... «Chi è?». Non comprende che si tratta di un’ipotesi e si aspetta che gli venga rivelato il nome.
Il cellulare in Corea non funziona; non c'è campo e non c'è internet. Nel periodo che trascorreremo in Corea saremo completamente isolati dal mondo, con l'unica possibilità di mandare email dalla casella dell'albergo oppure chiamare da uno dei telefoni nella hall dell'albergo al costo di 2,50 euro al minuto, con la certezza di essere letti e ascoltati. Chiamo casa, ho promesso a Elisa, la mia compagna, che mi farò vivo ogni 24 ore circa; entrambi sappiamo che non siamo soli al telefono e quindi ci limitiamo a discorsi semplici dove confermo che va tutto bene, racconto della gentilezza delle guide e dei posti visti quel giorno. Lei vorrebbe darmi una notizia importante, ma è troppo personale per comunicarmela in quelle circostanze e troppo importante per non rischiare di distrarmi dal lavoro che dovrò svolgere. Non la menziona.
La stanza d'albergo, elegante e involontariamente vintage, con moquette e arredamento beige, è grande e pulita; si trova al 43° piano e da lì ho una bella vista sulla città che appare moderna e ricca, se fossimo negli anni '70; guardando meglio, i grattacieli color pastello sono sbiaditi e corrosi dalle intemperie. Nei corridoi che portano dall'ascensore alla stanza ho notato che la vista sugli altri lati mette in mostra cantieri o edifici da restaurare (come la logora sede della Biennale del Cinema).
Incuriosito dalla possibilità di essere sorvegliato anche in camera, mi guardo attorno alla ricerca di eventuali cavi o microfoni, che non scorgo. L'unico elemento sospetto è il comodino dalla forma cubica, senza cassetti, ma con tasti e manopole da radio sul lato anteriore. Guardando il lato posteriore del comodino, noto un numero eccessivo di cavi che si infila nel muro. Imma ed io, consci di non poter parlare liberamente, limiteremo le conversazioni in albergo a discorsi banali. Ci scambieremo a volte comunicazioni delicate scrivendole soltanto sul display del cellulare per poi cancellarle immediatamente.
Nel mio secondo giorno a Pyongyang, scendo al piano terra dell’albergo alle 7.30. Io e la collega non abbiamo pensato a darci un appuntamento per fare colazione e mi ritrovo da solo nel salone dove viene servita. Vengo fatto sedere in un tavolino distante dagli altri ospiti, una mezza dozzina in tutto. Yogurt, verdure tritate, caffè e frittata vengono servite in piattini da cameriere carine nei modi ma rigide nei gesti. Mi capiterà di vedere qualche occidentale nel momento della colazione, ma verremo sempre fatti sedere lontani e non ci sarà mai la volontà di cercarsi.
La seconda volta che scendo al piano terra, dopo un passaggio in camera per prendere con me la borsa fotografica, scorgo le nostre guide; hanno dei sorrisi insolitamente larghi, come se si fossero appena raccontati qualcosa di esilarante. Mentre mi vengono incontro il sorriso non accenna a diminuire. «Hai visto il canale internazionale in camera? – domanda Kim – abbiamo fatto un test missilistico, è andato bene!» racconta entusiasta. Mi complimento conciliante con loro, ma il mio pensiero va alla TV che avevo ignorato; scoprirò nelle notti seguenti che riceve Al Jazeera, che sarà il mio unico canale di informazione durante la permanenza. Per il resto della giornata mi domanderò se sia una notizia vera oppure una sorta di test per vedere la nostra reazione oppure una notizia diffusa solo in Corea. Soltanto alla sera Elisa mi confermerà al telefono, con una certa apprensione, che anche in Italia si è parlato di questo test.
Ci accorgeremo, col passare dei giorni, che le nostre guide hanno soltanto informazioni parziali sull'attualità: non sanno ad esempio che in Corea del Sud è appena stato eletto un nuovo Premier, Moon Jae-in o che in febbraio è stato assassinato, a Kuala Lampur, Kim Jong-nam, fratellastro del loro Leader. Prenderemo l'abitudine di chiedere ogni mattina a Kim qual è la notizia del giorno in Corea del Nord. Lui ci risponderà puntualmente consultando il proprio smartphone, con cui ha accesso ad un internet limitato a pochi siti governativi come quello del quotidiano "Rodong" (lavoro), dove può leggere le informazioni filtrate dalla propaganda. Ne è conscio, ma lo considera un bene, perché «sono le informazioni giuste per la popolazione».
Il giorno seguente ci racconterà i dettagli del test missilistico riuscito, poi della festa organizzata dal Leader per l'esperimento andato a buon fine, successivamente del regalo offerto dal Leader agli scienziati che hanno reso possibile tutto questo e il giorno dopo ancora dei complimenti ricevuti dagli altri Leader asiatici. «Kim, non ci sono mai brutte notizie in Corea?», «A volte, ma provengono dall'estero».
Durante il nostro soggiorno visiteremo il Complesso della Scienza e Tecnologia, il Palazzo dei Bambini, scuole superiori, asili, biblioteche, parchi giochi e altri luoghi dove vengono formati i giovani nord-coreani, tema portante del mio progetto. I coreani sono orgogliosi di mostrarci la loro gioventù, dove persino bambini di pochi anni hanno una disciplina ferrea e una dedizione totale verso l'attività che svolgono, al punto da sembrare piccoli robot. Sono capaci di festeggiarci, mostrarci le aule e i loro strumenti e giochi e di intrattenerci con concerti impeccabili che, per durata e precisione di esecuzione, sembrano impossibili per la loro età.
Non ci faranno visitare nemmeno una delle trenta università presenti in città, nonostante fosse fra le nostre richieste. Ci porteranno a vedere i set cinematografici, meta che consideravamo molto importante visto il ruolo che il cinema ricopre nella propaganda, ma lo faranno in una giornata dove non c'è nessuno da intervistare e fotografare; soltanto set vuoti. Delusione profonda. Compro e sfoglio una guida al cinema nord-coreano in inglese, in un negozio di souvenir, leggo un po' di trame. Quando non si tratta di film ispirati alla vita di Kim Il-sung o di veri e propri film di guerra dove si combattono gli USA, i film raccontano storie di ordinaria quotidianità, dove magari un giovane scapestrato commette una serie di errori o mancanze di rispetto verso la famiglia, fino al giorno della maturazione, espressa simbolicamente con l'arruolamento nell'esercito per combattere gli americani.
Un giorno, mentre camminiamo per le vie di Pyongyang, mi accorgo che Kim e Choe chiacchierando rispettivamente con me e la collega, tenendo andature diverse, riescono a distanziarci di una decina di metri, ritenendoli sufficienti per avere dialoghi separati, ma in realtà posso comunque sentire a fatica le domande che Kim pone e le risposte che la giornalista fornisce: «Che tipo di rivista è Vanity Fair?», «Di cosa si occupa?», «è americana?», «Davvero la redazione italiana è indipendente da quella americana?» e così via. Pochi minuti dopo le stesse domande vengono poste a me da Choe. Rispondo allo stesso modo, che è poi la verità, e la mia versione coincide con quella della giornalista. Le nostre guide ci chiedono quasi quotidianamente che tipo di articolo sarà il nostro; ci tengono molto che venga fuori una visione positiva perché la priorità del loro paese è incrementare il turismo (e l'arrivo di valuta straniera; ogni nostra tappa è seguita dalla visita a un negozio di souvenir dove sperano di farci comprare qualcosa).
Altrettanto spesso ci raccontano del loro sogno di riunificazione pacifica della penisola coreana in un unico paese guidato dal Leader Kim Jong-un. È un desiderio sincero e molto sentito, che mi fa tornare alla mente le interviste che feci ai giovani sud-coreani nel 2015. Nessuno di loro voleva la riunificazione perché non intendono rinunciare al benessere raggiunto e nemmeno vogliono che la crescita economica e tecnologica del paese venga rallentata dal farsi carico dei nord-coreani. Alcuni studi hanno stimato che la produttività del Nord raggiungerebbe un livello pari alla metà di quella del Sud solo dopo circa cinquant’anni.
Nei nostri spostamenti notiamo una moltitudine di militari che incontriamo a presidio dei monumenti, in giro per le strade o anche al lavoro nei cantieri. «Perché i militari svolgono lavori da operai, muratori e contadini?», chiedo, «Costruiscono il socialismo», sentenzia Kim. Aggiunge poi che il servizio militare, della durata da tre a cinque anni, è obbligatorio e che nelle università insegnano a tutti a sparare. Saperlo fare è un dovere dei coreani. Sono esentati i ragazzi che studiano lingue, tecnologia e musica. Per le donne non è obbligatorio ma, per chi scegliesse di farlo, la durata va dai diciotto ai trentasei mesi a seconda del settore scelto. Alcune fonti riportano che l’esercito nord-coreano è la quinta forza armata al mondo dopo Cina, USA, Russia e India. Se si tiene conto dei riservisti, l’esercito può arrivare a oltre sette milioni di militari su una popolazione complessiva di venticinque milioni.
Kim, studiando italiano, è stato esentato dal servizio militare: ho idea che non ci tenga a farlo anche se ce la racconta come una possibilità che sta valutando. Gli abitanti di Pyongyang sono una élite rispetto al resto del paese e all'interno della città c'è una casta ancor più ristretta che include poche migliaia di persone, fra le quali il nostro Kim, figlio di un avvocato e col desiderio di diventare funzionario di partito. Fotografare i militari è severamente vietato, penso che c'entri col fatto che svolgono lavori umili, ma mi adeguo senza problemi, non rientrando loro nel mio progetto. Non intendo provocare il fotografo che mi scorta, quasi sempre sorridente e cordiale, tranne in alcuni episodi: mi ha impedito di fotografare dei giovani che non avevano un portamento adatto alla buona immagine del Paese. Allontanandoli con decisione dal sottoscritto, li ha ammoniti con severità.
Durante il viaggio spiccano tre incontri in particolare: quello avvenuto a casa di un professore universitario, quello avvenuto con un Colonnello alla DMZ (zona demilitarizzata, il confine con la Corea del Sud) e quello avvenuto con un funzionario del partito nel bar del piano terra del Koryo Hotel.
Abbiamo aspettative molto alte dalla visita alla casa del Professore Ri Sungil, Presidente dell’Università di Ingegneria Elettronica. Il professore è uno dei ruoli più importanti nella società nord-coreana – persino più di giudici, avvocati e membri del Partito –, perché dovrà forgiare le menti di scienziati e ingegneri che lavoreranno allo sviluppo tecnologico e militare del paese.
Quando arriviamo nell'appartamento, situato in uno dei grattacieli del quartiere degli scienziati, scopriamo che il professore è al lavoro e non può incontrarci, ma possiamo parlare con la moglie e fotografarla. L’ennesimo bastone fra le ruote. Ci viene raccontato che la casa, di 200mq, è un regalo del Supremo Leader. Anche i mobili, i bicchieri e tutto il resto sono regali. Gli oggetti della vecchia casa sono rimasti là, non c’è stato alcun trasloco dato che appartiene tutto allo Stato. Nella vecchia casa non avevano il boiler per l'acqua calda. Le famiglie dei professori hanno dei benefit, come il saltare la fila quando fanno la spesa, ricevere annualmente un pacco di cibo e confezioni di acqua di sorgente, oltre alla possibilità di fare una vacanza di tre settimane al lago.
Alla DMZ incontriamo il Colonnello Jon, che ci racconta il suo punto di vista sulla Guerra di Corea e la divisione del Paese. Kim lo ascolta con estremo rispetto. Ricordo la visita fatta alla DMZ dal versante sud-coreano, ma qui a nord l'atmosfera è più pesante e surreale per via degli altoparlanti sud-coreani che trasmettono musica e a volte discorsi provocatori contro gli ideali dei nord-coreani. Chiediamo informazioni ad alcuni militari ma tutti affermano di non sentire bene e di non capire cosa viene detto (è difficile crederlo, più probabilmente non vogliono ripetere quelle frasi).
La mattina del penultimo giorno in Corea, nella hall del nostro albergo, avviene un incontro fortunato con un funzionario importante del partito che, informato da Kim della presenza di due giornalisti di Vanity Fair in visita nel paese, viene a presentarsi. Non ha molto tempo, ci dà appuntamento per la sera stessa nel lussuoso Koryo Hotel (dove alloggiano solitamente i pezzi grossi del Paese) dove ci concederà un’intervista. È una grande opportunità. Quando arriviamo al suo tavolo notiamo che è vestito elegante, parla inglese in modo spavaldo ed è brillante (come un attore consumato) con Imma, che è al centro delle sue attenzioni. È un nord-coreano diverso da tutti quelli incontrati nel viaggio perché ha libero accesso all'informazione, a internet, ha potuto viaggiare all'estero, persino in Italia, sa come va il mondo ed è consapevole del filtro che viene imposto alla popolazione.
I successivi trenta minuti, però, sono un corteggiamento insistente verso la giornalista, che mi fanno pensare all'ennesima delusione delle nostre aspettative. La collega però è esperta e sa quando dare corda e quando riportare la conversazione sui binari. Spinge il funzionario a iniziare l'intervista e, quando questo capisce che non può più rimandare, fa chiamare Kim per tradurre perché, da quel momento in poi, parlerà prudentemente soltanto coreano. Nell'ora successiva Kim si troverà a tradurre domande e risposte che contengono informazioni e notizie di cui era completamente all'oscuro: gli si aprirà un mondo. Quando a un certo punto gli altri vanno al bagno e rimane solo con me al tavolo, mi domanda con agitazione se sta traducendo bene, vuole ben figurare col funzionario perché sogna di diventarlo anche lui, in futuro. Taglio corto e lo rassicuro con generosità.
Fra le altre numerose mete del viaggio: la Metropolitana di Pyongyang – imponente e ricca di decori, pensata anche per essere un rifugio per la popolazione in caso di attacco nucleare –, l'Arco di Trionfo – 11 metri più alto di quello di Parigi, ci tengono a precisare –, il Monumento alla Fondazione del Partito, la Juche Tower, la Grand People's Study House, il Museo della Guerra e l'International Friendship Exibition, cioè un museo imponente di 70.000 mq che contiene gli 114.920 regali provenienti da 188 Paesi, in onore dei Leader nord-coreani; fra questi anche un’auto blindata e un vagone ferroviario blindato donati da Stalin.
Nel giorno della partenza, c'è la classica malinconia di chi sta per salutare degli amici; dopo il tempo passato assieme, è stato naturale sviluppare una simpatia, in particolare verso Choe e Kim, che a volte hanno ostacolato il nostro lavoro, obbedendo a ordini superiori, ma altre volte si sono dimostrati disponibili e si sono aperti con noi. Se ripenso a Kim e ai suoi 26 anni, sono convinto di averlo conosciuto nel momento migliore della sua vita – dal mio punto di vista – con un animo ancora aperto, nonostante tutto. Fra 10 o 20 anni alloggerà anche lui al Koryo Hotel, spavaldo e complice consapevole della propaganda.
È al momento dei controlli in aeroporto che si scopre se le autorità nord-coreane hanno deciso che puoi lasciare il paese o meno e, proprio per questo, siamo un po' ansiosi nonostante ci sembri di aver trovato il giusto equilibrio fra il sottostare alla loro volontà e lo svolgere il nostro lavoro. Mentre mi controllano le borse, un militare mi domanda la provenienza di due poster di propaganda coreana che ho nella tasca esterna dello zaino. Gli spiego che li ho comprati a Kaesong, città vicino al confine. Lui mi chiede lo scontrino, che non possiedo, probabilmente non mi è stato nemmeno lasciato. Per un attimo la mia mente estrae dal cilindro il nome Otto Warmbier, lo studente americano qui arrestato oltre un anno fa per il furto di un poster e che avrà un destino crudele nei mesi successivi. Il militare insiste nel chiedermi lo scontrino, gli rispondo che non ce l'ho. Osservo Imma andare oltre i controlli e sto pensando di avvisarla del mio fermo, quando il militare decide di lasciarmi andare…
Seguono alcune fotografie scattate durante il viaggio in treno da Dandong a Pyongyang.
Mostra fotografica Ambiente Clima Futuro /
Anche il mio lavoro fotografico “Pollution Valley” sarà esposto nella grande mostra fotografica che inaugurerà al CIFA - Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena, dal 18 giugno al 10 settembre 2022!
Di seguito l’articolo di Art-Vibes:
FIAF - "Ambiente Clima Futuro”, il nuovo progetto fotografico collettivo nazionale
228 autori e oltre 1500 immagini per la prima iniziativa di documentazione fotografica e analisi interpretativa del fenomeno
della tutela ambientale nel nostro Paese, realizzato da fotografi professionisti e amatoriali.
La FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche – e la Fondazione CENSIS presentano il progetto “AMBIENTE CLIMA FUTURO”, la prima iniziativa di documentazione fotografica e analisi interpretativa del fenomeno della tutela ambientale nel nostro Paese, realizzato da fotografi professionisti e amatoriali.
Nel particolare momento di passaggio che stiamo oggi vivendo, a cavallo tra un passato segnato da inquinamento, spreco delle risorse, cattiva gestione del territorio, problema dei rifiuti e cambiamenti climatici, e un presente dove le buone pratiche, sia a livello pubblico che privato, vanno nella direzione di un futuro con una maggiore attenzione per l’ambiente e per il suo equilibrio, il Progetto
Fotografico della FIAF vuole essere un’occasione per riflettere su questi processi di trasformazione, raccontando sia i luoghi e le attività dove esistono progetti ed esperienze di recupero per un ritorno ad un ambiente più naturale, sia quelle situazioni dove sono ancora in corso sfruttamento e depauperamento per sostenere un sistema economico sempre più bisognoso di risorse difficilmente rinnovabili, in un ritmo di crescita inconciliabile con il mantenimento di un equilibrio naturale.
La grande mostra fotografica del nuovo progetto nazionale “AMBIENTE CLIMA FUTURO”, di cui BPER Banca è main sponsor, verrà inaugurata sabato 18 giugno 2022 presso il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (Via delle Monache 2), a partire dalle ore 17,30. La mostra rimarrà poi aperta fino a sabato 10 settembre 2022.
Gli autori iscritti per partecipare al progetto nazionale “AMBIENTE CLIMA FUTURO” sono stati 1.161, 1.032 dei quali hanno inviato le loro opere per la selezione. Le immagini arrivate sono state 14.448. Sono stati selezionati 228 autori con un totale di circa 1.516 fotografie, in rappresentanza di 18 Regioni italiane.
Anche gli appassionati di audiovisivi, supportati dal Dipartimento DIAF hanno inviato le loro opere con 24 partecipanti e 27 opere prodotte.
Il progetto è stato realizzato anche grazie al sostegno di FUJIFILM Italia coinvolgendo 10 fotografi molto conosciuti nel mondo FIAF, offrendo loro la possibilità di interpretare il tema “AMBIENTE CLIMA FUTURO” con la qualità straordinaria delle fotocamere digitali mirrorless Serie X e ottiche FUJINON.
Ogni autore ha seguito la propria inclinazione con il linguaggio più congeniale. Il risultato è un’opera corale di disvelamento della percezione collettiva della crisi climatica e delle condizioni in cui oggi versa il Paese, raccolta in un documentato unico che costituisce il catalogo della mostra nazionale e che contiene tutte le opere esposte, selezionate da una commissione di esperti.
In alcuni lavori, come riportato nella prima parte del libro, il nostro habitat è visto dall’alto, come fossimo astronauti che ogni volta si meravigliano della bellezza, della vastità, dell’incongruenza, delle forme che ci rendono piccoli e che ci fanno comprendere chi sia, davvero il più forte: è il genere umano a doversi adattare, a dover cambiare, perché la natura si trasformerà e potrà forse farne a meno.
Altri racconti fotografici, invece, sono ritmati da immagini astratte. Sono mondi di senso, intrecci, pretesti che rappresentano il confluire degli argomenti l’uno nell’altro, nell’organismo complesso e affascinante che è l’ambiente, nel rapporto d’amore e conflitto che il genere umano ha con la natura. Così fluidamente, nel libro, abbiamo cercato di partire dall’aria e dall’inquinamento atmosferico, per passare ai paesaggi naturali e alla nostalgia che percepiamo di fronte alla forza immane delle opere d’arte dipinte dalla natura.
Il grande tema dell’abbandono, dell’incuria delle forme umane e della riappropriazione da parte della vegetazione si trasforma nella rappresentazione dei territori malati, feriti profondamente dalle esigenze di sfruttamento. Il territorio urbano ha un suo fascino non sempre inconsapevole: i nostri autori hanno cercato lo stridore di una inconsulta occupazione di spazio, ma anche le inattese armonie tra mondi che parrebbero inconciliabili.
Poi c’è il mondo dell’acqua nelle infinite declinazioni dell’uso, del recupero, della protezione, del governo e dello studio che sfocia però nelle tragedie delle devastazioni a causa di eventi derivanti dai cambiamenti climatici: inondazioni, tsunami, tempeste, incendi (purtroppo e troppo stesso anche di natura dolosa). Il riciclo e il recupero si mostrano nelle forme più sorprendenti, anche quando banali: è la voglia di vivere e di far rivivere, la nuova vita che tutti speriamo di poter guadagnare è una forma di speranza e una rilettura di prodotti usati e usurati eppure capaci di adattarsi a nuovi usi con la sapienza di una industria attenta, di un artigiano, del cittadino rispettoso. Infine, l’energia prodotta da fonti rinnovabili, la vera scommessa del futuro e i comportamenti virtuosi raccolti in microstorie di passione e volontà. Nel mezzo c’è la protesta degli ultimi anni, purtroppo spenta dalla pandemia, ma che ritornerà, certamente, più forte di prima.
Ma non mancano progetti fotografici che ci danno un segno di speranza, con l’idea che i nostri sforzi ci saranno e non saranno vani. Ecco, quindi, i giovani sorridenti che immaginano il futuro coi loro disegni, un giardino di arte contemporanea a dimostrare che tecnologia e poesia possono e debbono convivere a servizio del mondo naturale di cui l’uomo fa parte e poi l’impegno di ognuno in un grande mosaico sul quale tutti dobbiamo posare la nostra tessera.
Mostra fotografia “Ambiente Clima Futuro”
18 giugno – 10 settembre 2022.
CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (AR), Via delle Monache 2.
Ukrainian Classic Ballet, Teatro per l'Ucraina /
Ukrainian Classic Ballet, “Giselle” – Teatro per l'Ucraina
Teatro Alessandro Bonci, Cesena, Italia, 19 Maggio 2022
Interessante la vicenda degli ucraini - solisti e ballerini dei teatri nazionali dell'Ucraina (Opera Nazionale dell'Ucraina, Teatro Taras Shevchenko, Teatro dell'Opera e balletto di Odessa, Teatro Accademico di Kharkiv e Opera Nazionale di Lviv) - che si trovavano in tourné in Europa al momento dello scoppio della guerra e che in seguito sono stati ospitati da ERT - Emilia Romagna Teatro Fondazione e altri teatri nazionali italiani, consentendogli di continuare a lavorare e inviare aiuti economici ai familiari in patria.
Foundations of a Mirage /
Foundations of a Mirage
Dubai, United Arab Emirates, 2021 - Ongoing
2021 is an important year for the United Arab Emirates, which is celebrating the 50th anniversary of its and hosting EXPO 2020 (postponed by a year due to the COVID-19 pandemic) in Dubai, the country’s most important city, considered the “New York of the Persian Gulf”.
The fate of the UAE took a drastic turn with the discovery of oil in Abu Dhabi in 1958 and in Dubai in 1966. Even today, over 85% of the country’s economy is based on exports of natural resources. In recent years, the construction boom has driven the country’s government to invest in very expensive infrastructure, in Dubai itself, chasing various records, such as the Burj Khalifa, the world’s tallest building; the Dubai World Central International Airport, the most expensive airport ever built; the three Palm Islands, the largest artificial islands in the world; the Dubai Mall, the largest shopping mall in the world; Dubailand, an amusement park that is supposed be twice the size of Disney World (which, however, has suffered severe delays due to the recent economic crisis).
The population of the UAE is around 10 million, of which 11% are citizens of the United Arab Emirates and 89% are foreigners (mostly immigrants from India, Pakistan and Bangladesh).
Although for some time now the country, also through the EXPO, has been attempting to tackle important and current issues such as sustainability (accessibility and resilience of environmental resources, energy and water), in practice it relies on a system that has very little that is sustainable and modern about it, i.e. the exploitation of low-cost migrant labour to create works that aim to be the largest/tallest/most impressive etc. to the world, whose goal is to support a purely Western type of consumerism, even at the cost of distorting the traditions and culture of the country itself, resulting in an artificial, contradictory reality.
Thanks to its reflective surfaces and the use of futuristic technologies, Dubai’s show of modernity can dazzle and distract from the actual situation, where capitalism reigns supreme. Even so, however, it is not difficult to notice the army of workers ready to clean and disinfect anywhere suitable for hosting visitors, including the streets, or in charge of directing tourists and satisfying their every need.
The dark side of Dubai has many facets, including that of being a tax haven capable of attracting people and money whose origins are “hazy” to say the least, but it is on a human level that the cruellest face of this reality can be found, where workers are treated like commodities, also through what is known as the kafala, a system of exploitation that shares some characteristics with human trafficking. The result is therefore a form of contemporary slavery that goes unnoticed because to visitors, Dubai appears to be a wonderland, whose hardly “sustainable” foundations, however, they fail to see.
The Art of Leaping in the Dark /
The Art of Leaping in the Dark
The act of diving, whatever the era or geographical area, has always brought out ambiguous feelings in people: of fascination, affirmation and carefreeness, but also of fear and loss of control of one’s body in space; in some cases becoming a challenge aimed at symbolising the overcoming of a limit or even a rite of passage.
The Archaeological Museum in Paestum is home to a Greek tomb, found in a necropolis, with a fresco depicting an unusual subject: a naked young man diving into the sea; a metaphor of the passage from life to death. A dive was therefore used as a perfect allegory of life, symbolising the passage from a known world, the earth, to an unknown one, the sea. Between land and sea, the air transforms the fall into an exemplary feat, into an athletic pose, into art.
The dive can also be an initiation rite. On the island of Pentecost, in the Melanesian archipelago of Vanuatu, a ritual known as Naghol, meaning “leap into the void", is undertaken by teenagers, taking its inspiration from the sport of bungee jumping. Every year, during the yam harvest (the tuber represents the main food resource of the island), dozens of young people throw themselves off a tower that is over 25 metres high, with their ankles secured by vines. A spectacular initiation ceremony focused on courage: in order to become men, males must prove their worth with a leap into the void and thus ingratiate themselves with fate. Each jump is accompanied by screams and prolonged applause.
These concepts represent the springboard for the photographic project, where the act of diving becomes a metaphor for a leap into the unknown and for transition, from which the protagonists emerge reinvigorated, transformed, freed.
In recent years, I have photographed divers in some parts of the Salento area, such as the Grotta della Poesia, a natural cave shaped by the Adriatic Sea in the rocky coast over the centuries. It is here, in this sort of natural pool, despite the ban on swimming due to the geomorphological danger posed by the cliff, that the population comes to experience what has become a collective ritual, in which the fear of the void is faced with the support and encouragement of people waiting for their moment to dive. The fear of the individual is shared and, at times, the wait to dive into the void can even last for minutes, during which there is a respectful silence and, following the leap, collective applause.
In this project, I worked by subtraction: attenuating the summer setting and intensifying the action, the performance of the bodies in flight, carrying out a process of abstraction, inviting the observer to dwell on the three structural elements in the series: the human figure in the void, with postures that can be deformed by instinct, the air that this moves, and finally the rock, the prehistoric element, in the same way that man’s tension towards the unknown, experimentation of the unknown, his desire to “go beyond” is prehistoric - synonymous here with archetypal.
L'arte di Saltare nel Buio
Il gesto del tuffo, in qualunque epoca e area geografica, ha sempre esercitato sentimenti ambigui nelle persone: di fascinazione, affermazione e spensieratezza, ma anche di timore e perdita di controllo del proprio corpo nello spazio; in certi casi diventando una sfida volta a simboleggiare il superamento di un limite o addirittura di un rito di passaggio.
Nel Museo Archeologico di Paestum è esposta una tomba greca, rinvenuta in una necropoli, con un affresco che rappresenta un soggetto insolito: un giovane nudo che si tuffa nel mare; metafora del passaggio dalla vita alla morte. Come perfetta allegoria della vita è stato quindi usato un tuffo, simbolo del passaggio da un mondo conosciuto, la terra, a uno sconosciuto, il mare. Fra terra e mare, l’aria trasforma la caduta in un gesto esemplare, in una posa atletica, in arte.
Il tuffo può essere anche un rito di iniziazione. Sull’Isola di Pentecoste, nell’arcipelago melanesiano di Vanuatu, viene praticato un rituale dagli adolescenti, il Naghol, cioè “salto nel vuoto”, a cui si ispira lo sport del bungee jumping. Ogni anno, nel periodo della raccolta dell’igname (il tubero che rappresenta la principale risorsa alimentare dell’isola), decine di giovani si lanciano da una torre alta oltre 25 metri con le caviglie assicurate da liane. Una spettacolare cerimonia di iniziazione incentrata sul coraggio: i maschi, per diventare uomini, devono dimostrare il loro valore con un salto nel vuoto e ingraziarsi così la sorte. Ogni salto è accompagnato da urla e prolungati applausi.
È da questi concetti che parte il progetto fotografico, dove il gesto del tuffo diventa metafora di un salto nell'ignoto e di transizione, da cui i protagonisti riemergono rinvigoriti, trasformati, liberati.
Negli ultimi anni ho fotografato i tuffatori in alcune aree del Salento, come la Grotta della Poesia, una cavità naturale plasmata dal mare Adriatico nella costa rocciosa, nel corso dei secoli. È qui, in questa sorta di piscina naturale, nonostante sia in vigore il divieto di balneazione a causa del pericolo geomorfologico della falesia, che la popolazione viene per sperimentare quello che è diventato un rito collettivo, in cui la paura del vuoto viene affrontata col supporto e gli incoraggiamenti delle persone che attendono il proprio momento per tuffarsi. La paura della singola persona viene condivisa e, a volte, l'attesa del lancio nel vuoto può protrarsi anche per minuti, durante i quali vige un rispettoso silenzio e, a seguito del salto nel vuoto, un applauso collettivo.
In questo progetto ho lavorato per sottrazione: attenuando il contesto estivo ed esaltando l'azione, la performance dei corpi in volo, compiendo un processo di astrazione, invitando l'osservatore a soffermarsi sui tre elementi strutturali della sua serie: la figura umana nel vuoto, con posture che possono risultare deformate dall’istinto, l'aria che questa sposta e infine la roccia, l'elemento preistorico, così come preistorica - sinonimo qui di archetipica - è probabilmente la tensione dell'uomo verso il non conosciuto, la sperimentazione dell’ignoto, il suo desiderio di "andare oltre".
Reportage per Internazionale /
Su Internazionale è uscito il mio servizio fotografico su Ravenna, dove “è in corso una battaglia che va ben oltre i confini della città: si tratta di capire come produrre e consumare energia in Italia nei decenni a venire”. Reportage di Marina Forti. Photoeditor: Giovanna D’Ascenzi.
Qui il link all’articolo: Ravenna è il banco di prova per il futuro energetico in Italia