Reportage

CSAT, Suneung (South Korea) by Filippo Venturi

(in italiano sotto)

Every year in November, South Korea holds the college entrance exam, called Suneung or also CSAT (College Scholastic Ability Test), which lasts 9 hours and involves about 500.000 students. This year it was held on November 17, 2023.

For young South Koreans, it represents a very important step that will decide their future: depending on their results, they will either be able to enter the most prestigious universities, the so-called SKY (Seoul University, Korea University and Yonsei University), or they will have to scale back their own expectations and (especially) those of their parents.

South Korean society is characterized by a very high level of competition, touching on school, university, work, and even aesthetics. Young people find themselves growing up with the same ideals in mind and passing through compulsory stages: the best grades to get into the best universities that will lead to the best jobs. The country pushes young people toward an alienating and surreal standardization, the exact opposite of what happens in many Western countries, where success is achieved by standing out from the crowd.

For this reason, Suneung represents the most stressful time in a South Korean student's life. The psychological pressure on girls and boys is enormous, even in the family environment, the stress level is extremely high, and failure can lead to serious consequences such as depression, social isolation, alcoholism or suicide (South Korea is one of the countries with the highest suicide rate in the world).

To make it easier for students to cope with the exam, the South Korean government takes various measures, such as changing airline flight schedules so that they do not disturb with their noise, especially during the conduct of the English test. Businesses and government offices open only after the exam has begun, to prevent students from encountering traffic and arriving late. Cabs are free for the entire test day. Police officers are made available to drive those students to school who are in danger of arriving late and missing the test.


Ogni anno, nel mese di novembre, in Corea del Sud si svolge l'esame di ammissione all'università, chiamato Suneung o anche CSAT (College Scholastic Ability Test), della durata di 9 ore e che coinvolge circa 500 mila studenti. Quest'anno si è tenuto il 17 novembre 2023.

Per i giovani sudcoreani rappresenta un importantissimo step che deciderà il loro futuro: in base al risultato ottenuto potranno accedere alle università più prestigiose, le cosiddette SKY (Seoul University, Korea University e Yonsei University), oppure dovranno ridimensionare le proprie aspettative e (soprattutto) quelle dei genitori.

La società sudcoreana è caratterizzata da una competizione molto elevata, che tocca l'ambito scolastico, universitario, lavorativo e anche estetico. I giovani si trovano a crescere avendo in mente gli stessi ideali e passando per tappe obbligatorie: i migliori voti per accedere alle migliori università che consentiranno di arrivare ai migliori lavori. Il paese spinge i giovani verso una standardizzazione straniante e surreale, l'esatto contrario di quanto avviene in molti paesi occidentali, dove il successo è raggiunto distinguendosi dalla massa.

Per questo motivo il Suneung rappresenta il momento più stressante della vita di uno studente sudcoreano. La pressione psicologica verso ragazze e ragazzi è enorme, anche in ambito familiare, il livello di stress è altissimo e un insuccesso può portare a gravi conseguenze come depressione, isolamento sociale, alcolismo o suicidio (la Corea del Sud è uno dei paesi col tasso di suicidi più alto al mondo).

Per facilitare gli studenti nel sostenere l’esame, il governo sudcoreano adotta varie misure, come quella di modificare gli orari dei voli aerei in modo che non disturbino col loro rumore, in particolare durante lo svolgimento della prova di inglese. Le attività commerciali e gli uffici pubblici aprono solo dopo che l'esame è iniziato, per evitare che gli studenti possano trovare traffico e arrivare in ritardo. I taxi sono gratuiti per l'intera giornata di test. Agenti di polizia sono messi a disposizione per accompagnare a scuola quegli studenti che rischiassero di arrivare in ritardo e saltare il test.

Yogyesa Temple, si tratta del tempio principale dell'Ordine Jogye del buddismo coreano. Si trova nel centro di Seoul ed è uno dei templi dove i genitori degli studenti che affrontano l'esame vanno a pregare e a lasciare messaggi di speranza per il risultato che otterranno i propri figli. Seoul, Corea del Sud, 13/11/2022.

Yogyesa Temple, this is the main temple of the Jogye Order of Korean Buddhism. It is located in downtown Seoul and it is one of the temples where parents of students taking the university entrance exam go to pray and leave messages of hope for the outcome their children will get. Seoul, South Korea, 11/13/2022.

Yogyesa Temple, si tratta del tempio principale dell'Ordine Jogye del buddismo coreano. Si trova nel centro di Seoul ed è uno dei templi dove i genitori degli studenti che affrontano l'esame vanno a pregare e a lasciare messaggi di speranza per il risultato che otterranno i propri figli. Seoul, Corea del Sud, 13/11/2022.

Yogyesa Temple, this is the main temple of the Jogye Order of Korean Buddhism. It is located in downtown Seoul and it is one of the temples where parents of students taking the university entrance exam go to pray and leave messages of hope for the outcome their children will get. Seoul, South Korea, 11/13/2022.

Yogyesa Temple, si tratta del tempio principale dell'Ordine Jogye del buddismo coreano. Si trova nel centro di Seoul ed è uno dei templi dove i genitori degli studenti che affrontano l'esame vanno a pregare e a lasciare messaggi di speranza per il risultato che otterranno i propri figli. Seoul, Corea del Sud, 13/11/2022.

Yogyesa Temple, this is the main temple of the Jogye Order of Korean Buddhism. It is located in downtown Seoul and it is one of the temples where parents of students taking the university entrance exam go to pray and leave messages of hope for the outcome their children will get. Seoul, South Korea, 11/13/2022.

Yogyesa Temple, si tratta del tempio principale dell'Ordine Jogye del buddismo coreano. Si trova nel centro di Seoul ed è uno dei templi dove i genitori degli studenti che affrontano l'esame vanno a pregare e a lasciare messaggi di speranza per il risultato che otterranno i propri figli. Seoul, Corea del Sud, 13/11/2022.

Yogyesa Temple, this is the main temple of the Jogye Order of Korean Buddhism. It is located in downtown Seoul and it is one of the temples where parents of students taking the university entrance exam go to pray and leave messages of hope for the outcome their children will get. Seoul, South Korea, 11/13/2022.

Studenti varcano i cancelli di una delle scuole sede dell'esame. Kyungbock High School, Seoul, Corea del Sud, 17/11/2022.

Students walk through the gates of one of the schools hosting the exam. Kyungbock High School, Seoul, South Korea, 11/17/2022.

Giornalisti e fotografi documentano l'ingresso degli studenti in una delle scuole sede dell'esame e i saluti che poco prima scambiano con i genitori. Kyungbock High School, Seoul, Corea del Sud, 17/11/2022.

Journalists and photographers document the students' entrance into one of the schools hosting the exam and the greetings they exchange with their parents shortly before. Kyungbock High School, Seoul, South Korea, 11/17/2022.

Il fratello minore e i genitori di uno studente appena entrato in una delle scuole sede dell'esame. Kyungbock High School, Seoul, Corea del Sud, 17/11/2022.

The younger sibling and parents of a student who has just entered one of the schools hosting the exam. Kyungbock High School, Seoul, South Korea, 11/17/2022.

Alcuni studenti posano per una fotografia prima di entrare in una delle scuole sede dell'esame. Kyungbock High School, Seoul, Corea del Sud, 17/11/2022.

Some students pose for a photograph before entering one of the schools hosting the exam. Kyungbock High School, Seoul, South Korea, 11/17/2022.

Uno studente saluta la madre prima di varcare i cancelli di una delle scuole sede dell'esame. Kyungbock High School, Seoul, Corea del Sud, 17/11/2022.

A student greets his mother before stepping through the gates of one of the schools hosting the exam. Kyungbock High School, Seoul, South Korea, 11/17/2022.

Uno studente in ritardo viene accompagnato in una delle scuole sede dell'esame. Kyungbock High School, Seoul, Corea del Sud, 17/11/2022.

A tardy student is dropped off at one of the schools hosting the exam. Kyungbock High School, Seoul, South Korea, 11/17/2022.

Alluvione in Emilia Romagna by Filippo Venturi

Cesena, 19 maggio 2023, quartiere San Rocco e dintorni, dove ho vissuto per oltre 20 anni.
Oggi, dopo tanto tempo, ne ho girato le vie e ho rivisto vecchi amici. Nonostante ci si muovesse tutti fra pezzi di case, ricordi e oggetti distrutti, l'entusiasmo e la determinazione degli abitanti e dei volontari trasmettevano una grande speranza ❤

Forlì, 21 maggio 2023, quartiere Romiti, "Di Abdul e altre storie".
Quando ho visto una ventina di ragazzi di origine africana far parte di una lunga catena di persone che si passavano secchi pieni di fango, mi sono venute in mente alcune persone che dal divano di casa hanno sentenziato che migranti e stranieri non stanno aiutando gli italiani.
Alla fine ho scoperto che in quel condominio, su Via Sapinia, abita Abdul, un ragazzo senegalese che ha chiesto aiuto ai propri amici, accorsi anche dai paesi limitrofi, perché parte degli abitanti del condominio sono anziani e quindi in difficoltà nello svolgere le operazioni faticose e prolungate necessarie per pulire tutto il cortile, i garage e le cantine.
Proseguendo per le vie della mia città di adozione, mi sono imbattuto in tanta umanità di ogni varietà e in mille storie, intuibili dai dialoghi ascoltati per caso, dagli sguardi, dai messaggi sulle magliette indossate, da gesti reciproci di solidarietà e dalla volontà di creare gruppo.

Diario nord coreano by Filippo Venturi

Diario nord coreano
(2017)

Una versione di questo testo, ridotta a circa 11 mila battute, è uscita qualche anno fa nella rivista Il Reportage. Questa è invece la versione integrale di circa 27 mila battute. Non si tratta di un diario esauriente di quel viaggio, ma è l’insieme di alcune note e alcune vicende che ho registrato mentalmente. Con me avevo anche un quaderno che ho usato per annotarmi alcune informazioni innocue, ma nel quale non sarebbe stato saggio scrivere pensieri che sarebbero potuti essere letti dalle autorità nord coreane e causarmi complicazioni prima del rientro in Italia.

È un pomeriggio di marzo quando ricevo l'attesa notizia che le autorità nord-coreane hanno approvato il progetto che intendo realizzare nel loro paese. Mi era stato richiesto di preparare una minuziosa relazione, che è stata da loro letta, vagliata e giudicata. Ora posso finalmente dedicarmi ai preparativi del viaggio.

Realizzare un lavoro in Corea del Nord è il mio pallino fisso da quasi due anni, da quando cioè ho svolto quello sulla Corea del Sud. A fotografi e giornalisti non è consentito entrare nel paese col visto turistico: chi lo ha fatto, mentendo, ha corso un grosso rischio, e gli è toccato accontentarsi del tour guidato decretato per i turisti. Per questo ho cercato, per mesi, un contatto che mi aiutasse nei rapporti con le autorità e, garantendo per me, mi facesse ottenere l’agognato visto da giornalista. Per sostenere le spese che affronterò nel visitare il paese, ho coinvolto la rivista Vanity Fair e con me partirà anche una loro giornalista, Imma Vitelli.

È a questo punto che il mio contatto inizia a recitarci, quasi quotidianamente, per telefono ed email, il mantra delle regole non scritte che dovremo rispettare per poter svolgere il nostro lavoro e tornare a casa senza intoppi: in quanto inviati di un giornale saremo considerati sorvegliati speciali. Io e Imma saremo aiutati durante il nostro soggiorno da quattro guide – si potrebbe (anche) dire "scortati da quattro controllori" – ossia un autista, un fotografo incaricato di controllarmi, censurarmi e persino di fotografarmi per documentare ai suoi superiori le mie attività, una guida che parla italiano e un'altra che parla inglese e spagnolo. Non potremo uscire dall'albergo senza di loro; verranno a prenderci ogni mattina e ci riporteranno alla sera, accompagnandoci nei luoghi che abbiamo indicato nella relazione e deliziandoci con proposte integrative: è loro cura assicurarsi che non ci sfugga che magnifico paese sia la Corea del Nord.

In hotel ci saranno telecamere ovunque. Saranno sicuramente negli spazi comuni e negli ascensori ma dovremo essere prudenti anche all'interno delle nostre camere, dove ci ascolteranno dei microfoni. Dovremo assolutamente evitare di parlare del Supremo Leader e soprattutto di farci ironia o di criticarlo. Meglio parlare poco e in modo chiaro per evitare equivoci: i coreani vedono ogni occidentale come una possibile spia.

Dovremo dimostrare costantemente il nostro rispetto verso i Leader, partendo dal primo giorno, quando dovremo donare spontaneamente un mazzo di fiori al monumento dei Leader Kim Il Sung e Kim Jong-il – rispettivamente nonno e padre dell'attuale Leader Kim Jong-un. La procedura è ben definita: prima appoggeremo le nostre borse a terra, poi ci inchineremo a 90 gradi esatti. Non dovremo rialzarci per almeno cinque secondi, mantenendo uno sguardo solenne.

La partenza è prevista in maggio, da Roma. Prenderemo un volo per Pechino, poi uno per Yantai e infine per Dandong – città cinese al confine con la Corea del Nord – per un totale di circa venti ore tra voli e attese. A Dandong passeremo due notti e una giornata intera, esplorando il confine dal lato cinese, lungo il fiume Yalu, per poi prendere nel secondo giorno il treno, al mattino presto, che in sei ore raggiungerà Pyongyang attraversando le campagne coreane.

Il treno che ci porta a Pyongyang, appena varcato il confine, viene fatto fermare in territorio coreano, dove decine di soldati salgono a bordo, entrando in ogni scompartimento per perquisire e interrogare i viaggiatori. A bordo siamo rari esemplari di occidentali e attiriamo sguardi e curiosità. Dividiamo lo scompartimento con un ragazzo cinese e una coppia di mezza età composta da un cinese e una coreana. Quando un soldato arriva nel nostro scompartimento, ci invita a uscire in corridoio per poi chiamarci dentro uno alla volta per controllare il contenuto dei badagli e procedere con l'interrogatorio. Il contatto ci aveva preparato anche a questo.

Arriva il mio turno. Devo compilare un questionario dove dichiaro che sono un fotografo e cosa intendo fare in Corea del Nord. Elenco il materiale in mio possesso, in particolare l'attrezzatura fotografica: 3 fotocamere, 4 obiettivi, 1 cavalletto, 1 smartphone e una infinità di batterie e memorie in grado di garantirmi autosufficienza per le due settimane di viaggio: temendo i blackout elettrici, frequenti in, ho voluto essere previdente. Su consiglio, non ho preso con me il computer portatile che avrebbe reso ancora più complessi i controlli e aumentato la perdita di tempo. Nel questionario mi viene chiesto se ho con me la Bibbia, pongo il segno su No. Mentre sono indaffarato ad aprire ogni cerniera e ogni tasca dei miei bagagli per mostrarne il contenuto, il militare mi interrompe chiedendomi in un inglese minimale «No Bibbia?», «No». Sto riordinando le mie cose nelle rispettive tasche, quando mi domanda «Tre fotocamere?», «Sì». «No Bibbia?», «No». «Quattro fotocamere?», «No, tre». «No Bibbia?», «No». «Quanti cavalletti?», «Uno», lo tocca, «È questo?», «Sì». Rispondo sempre guardando negli occhi il militare. La cosa va avanti per un po': l'interrogatorio verte sul ripetere le domande con frequenza e vedere se cambio risposta, cadendo in contraddizione. Dal momento che non sto mentendo, risulta semplice restare coerente. Mi domando se vorrà vedere le fotografie che ho scattato, quelle fatte da Dandong verso la costa coreana, saranno un problema. Poi mi ricordo di altri scatti fatti in stazione, dove i pochi viaggiatori coreani si riconoscono dai cinesi per i vestiti e le borse di bassa qualità. Più che borse sono scatole di cartone e sacchi insolitamente grandi avvolti nelle plastiche, probabilmente non contengono oggetti personali, ma prodotti destinati al mercato nero che ha preso piede recentemente in Corea e che è tollerato dal Governo. Il militare conclude la sua ispezione e passa oltre.

Quando il treno riparte, il clima è più disteso in tutto lo scompartimento. Il ragazzo cinese si apre, raccontandoci di essere un imprenditore: si occupa di abbigliamento. La produzione però viene affidata a lavoratori nord-coreani perché guadagnano ancora meno dei cinesi e quindi per lui rappresentano un risparmio sulla manodopera.

Mi aspettavo dei controlli costanti durante il viaggio in treno, invece sono libero di raccogliere materiale fotografico e video delle campagne, delle risaie, delle piantagioni di soia che ricoprono il paesaggio fino all'orizzonte, dei villaggi quasi medievali e dei rari coreani che guardano il treno passare, seduti ai lati della ferrovia o mentre camminano lungo strade spesso non asfaltate. Il tempo grigio e piovoso, gli edifici fatiscenti e gli sporadici gruppi di persone coperti da impermeabili e ombrelli colorati, coordinati da pochi militari, privano dell'innocenza il paesaggio di campagna. Di tanto in tanto qualche coreano si gira e sorride al treno, qualcuno sembra notare proprio me.

La stazione di Pyongyang è essenziale e sovradimensionata per le persone che contiene; scoprirò in seguito che è caratteristica comune a tutti i luoghi che visiterò. Le guide ci accolgono con sorrisi e con fare garbato; non dubito che possano essere brave persone con la sfortuna di crescere in uno dei paesi meno liberi al mondo. Al tempo stesso ricordo le parole del contatto: «Probabilmente si creerà un rapporto socievole e prenderemo confidenza, ma non dovrete mai abbassare la guardia ed esporvi, pensando di essere fra amici».

Viaggiamo stipati in un antico furgoncino giapponese; se su altri aspetti hanno una cura maniacale nell'esibire ordine e sfarzo, sui mezzi di trasporto vanno al risparmio. La prima tappa è il Yanggakdo Hotel: un albergo di 46 piani, spesso utilizzato per ospitare turisti e giornalisti, il cui nome significa “Corna di pecora” per via della forma dell’isola su cui è costruito. Vista l'ubicazione, qualche visitatore lo ha soprannominato Alcatraz.

Facciamo il check-in, lasciamo i bagagli, una rinfrescata in bagno, poi scendiamo di nuovo nella hall dove ci attendono le guide per portarci a cena. Il sole è ormai tramontato e noi sfrecciamo nel buio delle strade – l'elettricità è preziosa qui –, asfaltate ma corrose. L'autista guida sicuro, si alterna fra le quattro corsie di continuo, facendo lo slalom fra le buche. Non c'è traffico – e non lo troveremo mai –, in compenso le strade brulicano di pedoni intenti ad attraversare. Qui la precedenza è sempre data ai veicoli a motore e i semafori sono rari, una scelta forse dettata dalla volontà di risparmiare carburante, un bene pregiato vista la difficoltà nel reperire petrolio e derivati con l'embargo internazionale che vige da oltre 10 anni (le sanzioni furono imposte nel 2006 da USA, ONU e UE dopo il primo test nucleare). In queste prime ore socializziamo soprattutto con le guide Kim (che parla italiano) e Choe (inglese e spagnolo). Sebbene l'italiano di Kim sia sgangherato, ci chiede di parlarlo così da consentirgli di allenarsi; Kim è una guida importante per la KITC, l'agenzia turistica governativa, perché in tutto il paese soltanto 15 persone hanno studiato e parlano italiano. «Kim, a cosa servono le strisce pedonali se non facciamo mai passare i pedoni?» «Quando ci sono le strisce le automobili rallentano, ma non si fermano».

Ceniamo in una struttura che, al piano terra, è adibita a negozio di abbigliamento e al primo piano è occupata da un ristorante; scopriremo che in Corea è una cosa frequente. Il ristorante è pulito e curato ma l'abbondanza di colori, stili e ornamenti lo rende kitsch. Quattro cameriere si prendono cura del nostro tavolo da sei, considerando che il resto del locale è vuoto (circostanza che si ripeterà spesso durante il viaggio). Il clima è disteso, iniziamo a fare conoscenza, il cibo è buono e si basa su riso, frittata, kimchi (cavolo fermentato) e altre verdure. Di tanto in tanto l'occhio mi cade su una parete del ristorante ricoperta da una proiezione di orchestre e marce militari che celebrano la grandezza del paese.

Kim ci racconta che gli Stati Uniti minacciano sempre il suo paese, ma loro adesso hanno tutto per poter rispondere alla guerra, alludendo alla bomba atomica. Sembra un bambino contento dei propri giocattoli. Sottolineerà spesso, durante il nostro soggiorno, che «Quando gli Stati Uniti pungiano, noi pungiamo più forte». Aggiunge poi che negli anni '50 gli USA hanno lanciato 300.000 bombe su Pyongyang, praticamente una bomba per ciascun abitante della città di quel periodo. Le tensioni fra Stati Uniti e Corea del Nord sono aumentate con la presidenza di Trump che, dopo ogni test missilistico coreano, usa sempre più spesso l'espressione "ogni opzione è sul tavolo", accarezzando quasi con piacere il termine "guerra".

In seguito scoprirò che tutti i pasti sono pianificati scrupolosamente: a volte ceneremo con le guide, altre volte io e la giornalista verremo lasciati da soli, mentre loro consumeranno il proprio pasto in una stanza adiacente. Forse per una genuina cortesia di lasciarci un po' di privacy o forse per registrare le nostre conversazioni quando penseremo di essere soli.

Kim, oltre all'italiano, ha studiato anche la storia del nostro paese, antichi romani compresi. Imma, per stuzzicarlo, gli domanda se sa chi era Giulio Cesare, «Sì», se sa che è stato un dittatore, «Sì» proprio come il tuo Leader, «No!». Si ribella all'accostamento perché in Corea si vota ogni 4 anni e Kim Jong-un è stato eletto con il 100% di voti. «Kim, è normale secondo te?», «Sì». «Se ci fosse un nord-coreano che non apprezzasse il Leader, cosa gli succederebbe?». Kim ci pensa un po'... «Chi è?». Non comprende che si tratta di un’ipotesi e si aspetta che gli venga rivelato il nome.

Il cellulare in Corea non funziona; non c'è campo e non c'è internet. Nel periodo che trascorreremo in Corea saremo completamente isolati dal mondo, con l'unica possibilità di mandare email dalla casella dell'albergo oppure chiamare da uno dei telefoni nella hall dell'albergo al costo di 2,50 euro al minuto, con la certezza di essere letti e ascoltati. Chiamo casa, ho promesso a Elisa, la mia compagna, che mi farò vivo ogni 24 ore circa; entrambi sappiamo che non siamo soli al telefono e quindi ci limitiamo a discorsi semplici dove confermo che va tutto bene, racconto della gentilezza delle guide e dei posti visti quel giorno. Lei vorrebbe darmi una notizia importante, ma è troppo personale per comunicarmela in quelle circostanze e troppo importante per non rischiare di distrarmi dal lavoro che dovrò svolgere. Non la menziona.

La stanza d'albergo, elegante e involontariamente vintage, con moquette e arredamento beige, è grande e pulita; si trova al 43° piano e da lì ho una bella vista sulla città che appare moderna e ricca, se fossimo negli anni '70; guardando meglio, i grattacieli color pastello sono sbiaditi e corrosi dalle intemperie. Nei corridoi che portano dall'ascensore alla stanza ho notato che la vista sugli altri lati mette in mostra cantieri o edifici da restaurare (come la logora sede della Biennale del Cinema).

Incuriosito dalla possibilità di essere sorvegliato anche in camera, mi guardo attorno alla ricerca di eventuali cavi o microfoni, che non scorgo. L'unico elemento sospetto è il comodino dalla forma cubica, senza cassetti, ma con tasti e manopole da radio sul lato anteriore. Guardando il lato posteriore del comodino, noto un numero eccessivo di cavi che si infila nel muro. Imma ed io, consci di non poter parlare liberamente, limiteremo le conversazioni in albergo a discorsi banali. Ci scambieremo a volte comunicazioni delicate scrivendole soltanto sul display del cellulare per poi cancellarle immediatamente.

Nel mio secondo giorno a Pyongyang, scendo al piano terra dell’albergo alle 7.30. Io e la collega non abbiamo pensato a darci un appuntamento per fare colazione e mi ritrovo da solo nel salone dove viene servita. Vengo fatto sedere in un tavolino distante dagli altri ospiti, una mezza dozzina in tutto. Yogurt, verdure tritate, caffè e frittata vengono servite in piattini da cameriere carine nei modi ma rigide nei gesti. Mi capiterà di vedere qualche occidentale nel momento della colazione, ma verremo sempre fatti sedere lontani e non ci sarà mai la volontà di cercarsi.

La seconda volta che scendo al piano terra, dopo un passaggio in camera per prendere con me la borsa fotografica, scorgo le nostre guide; hanno dei sorrisi insolitamente larghi, come se si fossero appena raccontati qualcosa di esilarante. Mentre mi vengono incontro il sorriso non accenna a diminuire. «Hai visto il canale internazionale in camera? – domanda Kim – abbiamo fatto un test missilistico, è andato bene!» racconta entusiasta. Mi complimento conciliante con loro, ma il mio pensiero va alla TV che avevo ignorato; scoprirò nelle notti seguenti che riceve Al Jazeera, che sarà il mio unico canale di informazione durante la permanenza. Per il resto della giornata mi domanderò se sia una notizia vera oppure una sorta di test per vedere la nostra reazione oppure una notizia diffusa solo in Corea. Soltanto alla sera Elisa mi confermerà al telefono, con una certa apprensione, che anche in Italia si è parlato di questo test.

Ci accorgeremo, col passare dei giorni, che le nostre guide hanno soltanto informazioni parziali sull'attualità: non sanno ad esempio che in Corea del Sud è appena stato eletto un nuovo Premier, Moon Jae-in o che in febbraio è stato assassinato, a Kuala Lampur, Kim Jong-nam, fratellastro del loro Leader. Prenderemo l'abitudine di chiedere ogni mattina a Kim qual è la notizia del giorno in Corea del Nord. Lui ci risponderà puntualmente consultando il proprio smartphone, con cui ha accesso ad un internet limitato a pochi siti governativi come quello del quotidiano "Rodong" (lavoro), dove può leggere le informazioni filtrate dalla propaganda.  Ne è conscio, ma lo considera un bene, perché «sono le informazioni giuste per la popolazione».

Il giorno seguente ci racconterà i dettagli del test missilistico riuscito, poi della festa organizzata dal Leader per l'esperimento andato a buon fine, successivamente del regalo offerto dal Leader agli scienziati che hanno reso possibile tutto questo e il giorno dopo ancora dei complimenti ricevuti dagli altri Leader asiatici. «Kim, non ci sono mai brutte notizie in Corea?», «A volte, ma provengono dall'estero».

Durante il nostro soggiorno visiteremo il Complesso della Scienza e Tecnologia, il Palazzo dei Bambini, scuole superiori, asili, biblioteche, parchi giochi e altri luoghi dove vengono formati i giovani nord-coreani, tema portante del mio progetto. I coreani sono orgogliosi di mostrarci la loro gioventù, dove persino bambini di pochi anni hanno una disciplina ferrea e una dedizione totale verso l'attività che svolgono, al punto da sembrare piccoli robot. Sono capaci di festeggiarci, mostrarci le aule e i loro strumenti e giochi e di intrattenerci con concerti impeccabili che, per durata e precisione di esecuzione, sembrano impossibili per la loro età.

Non ci faranno visitare nemmeno una delle trenta università presenti in città, nonostante fosse fra le nostre richieste. Ci porteranno a vedere i set cinematografici, meta che consideravamo molto importante visto il ruolo che il cinema ricopre nella propaganda, ma lo faranno in una giornata dove non c'è nessuno da intervistare e fotografare; soltanto set vuoti. Delusione profonda. Compro e sfoglio una guida al cinema nord-coreano in inglese, in un negozio di souvenir, leggo un po' di trame. Quando non si tratta di film ispirati alla vita di Kim Il-sung o di veri e propri film di guerra dove si combattono gli USA, i film raccontano storie di ordinaria quotidianità, dove magari un giovane scapestrato commette una serie di errori o mancanze di rispetto verso la famiglia, fino al giorno della maturazione, espressa simbolicamente con l'arruolamento nell'esercito per combattere gli americani.

Un giorno, mentre camminiamo per le vie di Pyongyang, mi accorgo che Kim e Choe chiacchierando rispettivamente con me e la collega, tenendo andature diverse, riescono a distanziarci di una decina di metri, ritenendoli sufficienti per avere dialoghi separati, ma in realtà posso comunque sentire a fatica le domande che Kim pone e le risposte che la giornalista fornisce: «Che tipo di rivista è Vanity Fair?», «Di cosa si occupa?», «è americana?», «Davvero la redazione italiana è indipendente da quella americana?»  e così via. Pochi minuti dopo le stesse domande vengono poste a me da Choe. Rispondo allo stesso modo, che è poi la verità, e la mia versione coincide con quella della giornalista. Le nostre guide ci chiedono quasi quotidianamente che tipo di articolo sarà il nostro; ci tengono molto che venga fuori una visione positiva perché la priorità del loro paese è incrementare il turismo (e l'arrivo di valuta straniera; ogni nostra tappa è seguita dalla visita a un negozio di souvenir dove sperano di farci comprare qualcosa).

Altrettanto spesso ci raccontano del loro sogno di riunificazione pacifica della penisola coreana in un unico paese guidato dal Leader Kim Jong-un. È un desiderio sincero e molto sentito, che mi fa tornare alla mente le interviste che feci ai giovani sud-coreani nel 2015. Nessuno di loro voleva la riunificazione perché non intendono rinunciare al benessere raggiunto e nemmeno vogliono che la crescita economica e tecnologica del paese venga rallentata dal farsi carico dei nord-coreani. Alcuni studi hanno stimato che la produttività del Nord raggiungerebbe un livello pari alla metà di quella del Sud solo dopo circa cinquant’anni.

Nei nostri spostamenti notiamo una moltitudine di militari che incontriamo a presidio dei monumenti, in giro per le strade o anche al lavoro nei cantieri. «Perché i militari svolgono lavori da operai, muratori e contadini?», chiedo, «Costruiscono il socialismo», sentenzia Kim. Aggiunge poi che il servizio militare, della durata da tre a cinque anni, è obbligatorio e che nelle università insegnano a tutti a sparare. Saperlo fare è un dovere dei coreani. Sono esentati i ragazzi che studiano lingue, tecnologia e musica. Per le donne non è obbligatorio ma, per chi scegliesse di farlo, la durata va dai diciotto ai trentasei mesi a seconda del settore scelto. Alcune fonti riportano che l’esercito nord-coreano è la quinta forza armata al mondo dopo Cina, USA, Russia e India. Se si tiene conto dei riservisti, l’esercito può arrivare a oltre sette milioni di militari su una popolazione complessiva di venticinque milioni.

Kim, studiando italiano, è stato esentato dal servizio militare: ho idea che non ci tenga a farlo anche se ce la racconta come una possibilità che sta valutando. Gli abitanti di Pyongyang sono una élite rispetto al resto del paese e all'interno della città c'è una casta ancor più ristretta che include poche migliaia di persone, fra le quali il nostro Kim, figlio di un avvocato e col desiderio di diventare funzionario di partito. Fotografare i militari è severamente vietato, penso che c'entri col fatto che svolgono lavori umili, ma mi adeguo senza problemi, non rientrando loro nel mio progetto. Non intendo provocare il fotografo che mi scorta, quasi sempre sorridente e cordiale, tranne in alcuni episodi: mi ha impedito di fotografare dei giovani che non avevano un portamento adatto alla buona immagine del Paese. Allontanandoli con decisione dal sottoscritto, li ha ammoniti con severità.

Durante il viaggio spiccano tre incontri in particolare: quello avvenuto a casa di un professore universitario, quello avvenuto con un Colonnello alla DMZ (zona demilitarizzata, il confine con la Corea del Sud) e quello avvenuto con un funzionario del partito nel bar del piano terra del Koryo Hotel.

Abbiamo aspettative molto alte dalla visita alla casa del Professore Ri Sungil, Presidente dell’Università di Ingegneria Elettronica. Il professore è uno dei ruoli più importanti nella società nord-coreana – persino più di giudici, avvocati e membri del Partito –, perché dovrà forgiare le menti di scienziati e ingegneri che lavoreranno allo sviluppo tecnologico e militare del paese.

Quando arriviamo nell'appartamento, situato in uno dei grattacieli del quartiere degli scienziati, scopriamo che il professore è al lavoro e non può incontrarci, ma possiamo parlare con la moglie e fotografarla. L’ennesimo bastone fra le ruote. Ci viene raccontato che la casa, di 200mq, è un regalo del Supremo Leader. Anche i mobili, i bicchieri e tutto il resto sono regali. Gli oggetti della vecchia casa sono rimasti là, non c’è stato alcun trasloco dato che appartiene tutto allo Stato. Nella vecchia casa non avevano il boiler per l'acqua calda. Le famiglie dei professori hanno dei benefit, come il saltare la fila quando fanno la spesa, ricevere annualmente un pacco di cibo e confezioni di acqua di sorgente, oltre alla possibilità di fare una vacanza di tre settimane al lago.

Alla DMZ incontriamo il Colonnello Jon, che ci racconta il suo punto di vista sulla Guerra di Corea e la divisione del Paese. Kim lo ascolta con estremo rispetto. Ricordo la visita fatta alla DMZ dal versante sud-coreano, ma qui a nord l'atmosfera è più pesante e surreale per via degli altoparlanti sud-coreani che trasmettono musica e a volte discorsi provocatori contro gli ideali dei nord-coreani. Chiediamo informazioni ad alcuni militari ma tutti affermano di non sentire bene e di non capire cosa viene detto (è difficile crederlo, più probabilmente non vogliono ripetere quelle frasi).

La mattina del penultimo giorno in Corea, nella hall del nostro albergo, avviene un incontro fortunato con un funzionario importante del partito che, informato da Kim della presenza di due giornalisti di Vanity Fair in visita nel paese, viene a presentarsi. Non ha molto tempo, ci dà appuntamento per la sera stessa nel lussuoso Koryo Hotel (dove alloggiano solitamente i pezzi grossi del Paese) dove ci concederà un’intervista. È una grande opportunità. Quando arriviamo al suo tavolo notiamo che è vestito elegante, parla inglese in modo spavaldo ed è brillante (come un attore consumato) con Imma, che è al centro delle sue attenzioni. È un nord-coreano diverso da tutti quelli incontrati nel viaggio perché ha libero accesso all'informazione, a internet, ha potuto viaggiare all'estero, persino in Italia, sa come va il mondo ed è consapevole del filtro che viene imposto alla popolazione.

I successivi trenta minuti, però, sono un corteggiamento insistente verso la giornalista, che mi fanno pensare all'ennesima delusione delle nostre aspettative. La collega però è esperta e sa quando dare corda e quando riportare la conversazione sui binari. Spinge il funzionario a iniziare l'intervista e, quando questo capisce che non può più rimandare, fa chiamare Kim per tradurre perché, da quel momento in poi, parlerà prudentemente soltanto coreano. Nell'ora successiva Kim si troverà a tradurre domande e risposte che contengono informazioni e notizie di cui era completamente all'oscuro: gli si aprirà un mondo. Quando a un certo punto gli altri vanno al bagno e rimane solo con me al tavolo, mi domanda con agitazione se sta traducendo bene, vuole ben figurare col funzionario perché sogna di diventarlo anche lui, in futuro. Taglio corto e lo rassicuro con generosità.

Fra le altre numerose mete del viaggio: la Metropolitana di Pyongyang – imponente e ricca di decori, pensata anche per essere un rifugio per la popolazione in caso di attacco nucleare –, l'Arco di Trionfo – 11 metri più alto di quello di Parigi, ci tengono a precisare –, il Monumento alla Fondazione del Partito, la Juche Tower, la Grand People's Study House, il Museo della Guerra e l'International Friendship Exibition, cioè un museo imponente di 70.000 mq che contiene gli 114.920 regali provenienti da 188 Paesi, in onore dei Leader nord-coreani; fra questi anche un’auto blindata e un vagone ferroviario blindato donati da Stalin.

Nel giorno della partenza, c'è la classica malinconia di chi sta per salutare degli amici; dopo il tempo passato assieme, è stato naturale sviluppare una simpatia, in particolare verso Choe e Kim, che a volte hanno ostacolato il nostro lavoro, obbedendo a ordini superiori, ma altre volte si sono dimostrati disponibili e si sono aperti con noi. Se ripenso a Kim e ai suoi 26 anni, sono convinto di averlo conosciuto nel momento migliore della sua vita – dal mio punto di vista – con un animo ancora aperto, nonostante tutto. Fra 10 o 20 anni alloggerà anche lui al Koryo Hotel, spavaldo e complice consapevole della propaganda.

È al momento dei controlli in aeroporto che si scopre se le autorità nord-coreane hanno deciso che puoi lasciare il paese o meno e, proprio per questo, siamo un po' ansiosi nonostante ci sembri di aver trovato il giusto equilibrio fra il sottostare alla loro volontà e lo svolgere il nostro lavoro. Mentre mi controllano le borse, un militare mi domanda la provenienza di due poster di propaganda coreana che ho nella tasca esterna dello zaino. Gli spiego che li ho comprati a Kaesong, città vicino al confine. Lui mi chiede lo scontrino, che non possiedo, probabilmente non mi è stato nemmeno lasciato. Per un attimo la mia mente estrae dal cilindro il nome Otto Warmbier, lo studente americano qui arrestato oltre un anno fa per il furto di un poster e che avrà un destino crudele nei mesi successivi. Il militare insiste nel chiedermi lo scontrino, gli rispondo che non ce l'ho. Osservo Imma andare oltre i controlli e sto pensando di avvisarla del mio fermo, quando il militare decide di lasciarmi andare…

Seguono alcune fotografie scattate durante il viaggio in treno da Dandong a Pyongyang.

Mostra fotografica Ambiente Clima Futuro by Filippo Venturi

Filippo Venturi – Dal portfolio Pollution Valley

Anche il mio lavoro fotografico “Pollution Valley” sarà esposto nella grande mostra fotografica che inaugurerà al CIFA - Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena, dal 18 giugno al 10 settembre 2022!

Di seguito l’articolo di Art-Vibes:

FIAF - "Ambiente Clima Futuro”, il nuovo progetto fotografico collettivo nazionale
228 autori e oltre 1500 immagini per la prima iniziativa di documentazione fotografica e analisi interpretativa del fenomeno 
della tutela ambientale nel nostro Paese, realizzato da fotografi professionisti e amatoriali.

La FIAF – Federazione Italiana Associazioni Fotografiche – e la Fondazione CENSIS presentano il progetto “AMBIENTE CLIMA FUTURO”, la prima iniziativa di documentazione fotografica e analisi interpretativa del fenomeno della tutela ambientale nel nostro Paese, realizzato da fotografi professionisti e amatoriali.

Nel particolare momento di passaggio che stiamo oggi vivendo, a cavallo tra un passato segnato da inquinamento, spreco delle risorse, cattiva gestione del territorio, problema dei rifiuti e cambiamenti climatici, e un presente dove le buone pratiche, sia a livello pubblico che privato, vanno nella direzione di un futuro con una maggiore attenzione per l’ambiente e per il suo equilibrio, il Progetto

Fotografico della FIAF vuole essere un’occasione per riflettere su questi processi di trasformazione, raccontando sia i luoghi e le attività dove esistono progetti ed esperienze di recupero per un ritorno ad un ambiente più naturale, sia quelle situazioni dove sono ancora in corso sfruttamento e depauperamento per sostenere un sistema economico sempre più bisognoso di risorse difficilmente rinnovabili, in un ritmo di crescita inconciliabile con il mantenimento di un equilibrio naturale.

La grande mostra fotografica del nuovo progetto nazionale “AMBIENTE CLIMA FUTURO”, di cui BPER Banca è main sponsor, verrà inaugurata sabato 18 giugno 2022 presso il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (Via delle Monache 2), a partire dalle ore 17,30. La mostra rimarrà poi aperta fino a sabato 10 settembre 2022.

Gli autori iscritti per partecipare al progetto nazionale “AMBIENTE CLIMA FUTURO” sono stati 1.161, 1.032 dei quali hanno inviato le loro opere per la selezione. Le immagini arrivate sono state 14.448. Sono stati selezionati 228 autori con un totale di circa 1.516 fotografie, in rappresentanza di 18 Regioni italiane.

Anche gli appassionati di audiovisivi, supportati dal Dipartimento DIAF hanno inviato le loro opere con 24 partecipanti e 27 opere prodotte.

Il progetto è stato realizzato anche grazie al sostegno di FUJIFILM Italia coinvolgendo 10 fotografi molto conosciuti nel mondo FIAF, offrendo loro la possibilità di interpretare il tema “AMBIENTE CLIMA FUTURO” con la qualità straordinaria delle fotocamere digitali mirrorless Serie X e ottiche FUJINON.

Ogni autore ha seguito la propria inclinazione con il linguaggio più congeniale. Il risultato è un’opera corale di disvelamento della percezione collettiva della crisi climatica e delle condizioni in cui oggi versa il Paese, raccolta in un documentato unico che costituisce il catalogo della mostra nazionale e che contiene tutte le opere esposte, selezionate da una commissione di esperti.

In alcuni lavori, come riportato nella prima parte del libro, il nostro habitat è visto dall’alto, come fossimo astronauti che ogni volta si meravigliano della bellezza, della vastità, dell’incongruenza, delle forme che ci rendono piccoli e che ci fanno comprendere chi sia, davvero il più forte: è il genere umano a doversi adattare, a dover cambiare, perché la natura si trasformerà e potrà forse farne a meno.

Altri racconti fotografici, invece, sono ritmati da immagini astratte. Sono mondi di senso, intrecci, pretesti che rappresentano il confluire degli argomenti l’uno nell’altro, nell’organismo complesso e affascinante che è l’ambiente, nel rapporto d’amore e conflitto che il genere umano ha con la natura. Così fluidamente, nel libro, abbiamo cercato di partire dall’aria e dall’inquinamento atmosferico, per passare ai paesaggi naturali e alla nostalgia che percepiamo di fronte alla forza immane delle opere d’arte dipinte dalla natura.

Il grande tema dell’abbandono, dell’incuria delle forme umane e della riappropriazione da parte della vegetazione si trasforma nella rappresentazione dei territori malati, feriti profondamente dalle esigenze di sfruttamento. Il territorio urbano ha un suo fascino non sempre inconsapevole: i nostri autori hanno cercato lo stridore di una inconsulta occupazione di spazio, ma anche le inattese armonie tra mondi che parrebbero inconciliabili.

Poi c’è il mondo dell’acqua nelle infinite declinazioni dell’uso, del recupero, della protezione, del governo e dello studio che sfocia però nelle tragedie delle devastazioni a causa di eventi derivanti dai cambiamenti climatici: inondazioni, tsunami, tempeste, incendi (purtroppo e troppo stesso anche di natura dolosa). Il riciclo e il recupero si mostrano nelle forme più sorprendenti, anche quando banali: è la voglia di vivere e di far rivivere, la nuova vita che tutti speriamo di poter guadagnare è una forma di speranza e una rilettura di prodotti usati e usurati eppure capaci di adattarsi a nuovi usi con la sapienza di una industria attenta, di un artigiano, del cittadino rispettoso. Infine, l’energia prodotta da fonti rinnovabili, la vera scommessa del futuro e i comportamenti virtuosi raccolti in microstorie di passione e volontà. Nel mezzo c’è la protesta degli ultimi anni, purtroppo spenta dalla pandemia, ma che ritornerà, certamente, più forte di prima.

Ma non mancano progetti fotografici che ci danno un segno di speranza, con l’idea che i nostri sforzi ci saranno e non saranno vani. Ecco, quindi, i giovani sorridenti che immaginano il futuro coi loro disegni, un giardino di arte contemporanea a dimostrare che tecnologia e poesia possono e debbono convivere a servizio del mondo naturale di cui l’uomo fa parte e poi l’impegno di ognuno in un grande mosaico sul quale tutti dobbiamo posare la nostra tessera.

Mostra fotografia “Ambiente Clima Futuro
18 giugno – 10 settembre 2022.
CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (AR), Via delle Monache 2.

Ukrainian Classic Ballet, Teatro per l'Ucraina by Filippo Venturi

Ukrainian Classic Ballet, “Giselle” – Teatro per l'Ucraina
Teatro Alessandro Bonci, Cesena, Italia, 19 Maggio 2022

Interessante la vicenda degli ucraini - solisti e ballerini dei teatri nazionali dell'Ucraina (Opera Nazionale dell'Ucraina, Teatro Taras Shevchenko, Teatro dell'Opera e balletto di Odessa, Teatro Accademico di Kharkiv e Opera Nazionale di Lviv) - che si trovavano in tourné in Europa al momento dello scoppio della guerra e che in seguito sono stati ospitati da ERT - Emilia Romagna Teatro Fondazione e altri teatri nazionali italiani, consentendogli di continuare a lavorare e inviare aiuti economici ai familiari in patria.

Foundations of a Mirage by Filippo Venturi

Foundations of a Mirage
Dubai, United Arab Emirates, 2021 - Ongoing

2021 is an important year for the United Arab Emirates, which is celebrating the 50th anniversary of its and hosting EXPO 2020 (postponed by a year due to the COVID-19 pandemic) in Dubai, the country’s most important city, considered the “New York of the Persian Gulf”.

The fate of the UAE took a drastic turn with the discovery of oil in Abu Dhabi in 1958 and in Dubai in 1966. Even today, over 85% of the country’s economy is based on exports of natural resources. In recent years, the construction boom has driven the country’s government to invest in very expensive infrastructure, in Dubai itself, chasing various records, such as the Burj Khalifa, the world’s tallest building; the Dubai World Central International Airport, the most expensive airport ever built; the three Palm Islands, the largest artificial islands in the world; the Dubai Mall, the largest shopping mall in the world; Dubailand, an amusement park that is supposed be twice the size of Disney World (which, however, has suffered severe delays due to the recent economic crisis).

The population of the UAE is around 10 million, of which 11% are citizens of the United Arab Emirates and 89% are foreigners (mostly immigrants from India, Pakistan and Bangladesh).

Although for some time now the country, also through the EXPO, has been attempting to tackle important and current issues such as sustainability (accessibility and resilience of environmental resources, energy and water), in practice it relies on a system that has very little that is sustainable and modern about it, i.e. the exploitation of low-cost migrant labour to create works that aim to be the largest/tallest/most impressive etc. to the world, whose goal is to support a purely Western type of consumerism, even at the cost of distorting the traditions and culture of the country itself, resulting in an artificial, contradictory reality.

Thanks to its reflective surfaces and the use of futuristic technologies, Dubai’s show of modernity can dazzle and distract from the actual situation, where capitalism reigns supreme. Even so, however, it is not difficult to notice the army of workers ready to clean and disinfect anywhere suitable for hosting visitors, including the streets, or in charge of directing tourists and satisfying their every need.

The dark side of Dubai has many facets, including that of being a tax haven capable of attracting people and money whose origins are “hazy” to say the least, but it is on a human level that the cruellest face of this reality can be found, where workers are treated like commodities, also through what is known as the kafala, a system of exploitation that shares some characteristics with human trafficking. The result is therefore a form of contemporary slavery that goes unnoticed because to visitors, Dubai appears to be a wonderland, whose hardly “sustainable” foundations, however, they fail to see.

The Art of Leaping in the Dark by Filippo Venturi

The Art of Leaping in the Dark

The act of diving, whatever the era or geographical area, has always brought out ambiguous feelings in people: of fascination, affirmation and carefreeness, but also of fear and loss of control of one’s body in space; in some cases becoming a challenge aimed at symbolising the overcoming of a limit or even a rite of passage. 

The Archaeological Museum in Paestum is home to a Greek tomb, found in a necropolis, with a fresco depicting an unusual subject: a naked young man diving into the sea; a metaphor of the passage from life to death. A dive was therefore used as a perfect allegory of life, symbolising the passage from a known world, the earth, to an unknown one, the sea. Between land and sea, the air transforms the fall into an exemplary feat, into an athletic pose, into art. 

The dive can also be an initiation rite. On the island of Pentecost, in the Melanesian archipelago of Vanuatu, a ritual known as Naghol, meaning “leap into the void", is undertaken by teenagers, taking its inspiration from the sport of bungee jumping. Every year, during the yam harvest (the tuber represents the main food resource of the island), dozens of young people throw themselves off a tower that is over 25 metres high, with their ankles secured by vines. A spectacular initiation ceremony focused on courage: in order to become men, males must prove their worth with a leap into the void and thus ingratiate themselves with fate. Each jump is accompanied by screams and prolonged applause. 

These concepts represent the springboard for the photographic project, where the act of diving becomes a metaphor for a leap into the unknown and for transition, from which the protagonists emerge reinvigorated, transformed, freed. 

In recent years, I have photographed divers in some parts of the Salento area, such as the Grotta della Poesia, a natural cave shaped by the Adriatic Sea in the rocky coast over the centuries. It is here, in this sort of natural pool, despite the ban on swimming due to the geomorphological danger posed by the cliff, that the population comes to experience what has become a collective ritual, in which the fear of the void is faced with the support and encouragement of people waiting for their moment to dive. The fear of the individual is shared and, at times, the wait to dive into the void can even last for minutes, during which there is a respectful silence and, following the leap, collective applause. 

In this project, I worked by subtraction: attenuating the summer setting and intensifying the action, the performance of the bodies in flight, carrying out a process of abstraction, inviting the observer to dwell on the three structural elements in the series: the human figure in the void, with postures that can be deformed by instinct, the air that this moves, and finally the rock, the prehistoric element, in the same way that man’s tension towards the unknown, experimentation of the unknown, his desire to “go beyond” is prehistoric - synonymous here with archetypal.


L'arte di Saltare nel Buio

Il gesto del tuffo, in qualunque epoca e area geografica, ha sempre esercitato sentimenti ambigui nelle persone: di fascinazione, affermazione e spensieratezza, ma anche di timore e perdita di controllo del proprio corpo nello spazio; in certi casi diventando una sfida volta a simboleggiare il superamento di un limite o addirittura di un rito di passaggio.

Nel Museo Archeologico di Paestum è esposta una tomba greca, rinvenuta in una necropoli, con un affresco che rappresenta un soggetto insolito: un giovane nudo che si tuffa nel mare; metafora del passaggio dalla vita alla morte. Come perfetta allegoria della vita è stato quindi usato un tuffo, simbolo del passaggio da un mondo conosciuto, la terra, a uno sconosciuto, il mare. Fra terra e mare, l’aria trasforma la caduta in un gesto esemplare, in una posa atletica, in arte.

Il tuffo può essere anche un rito di iniziazione. Sull’Isola di Pentecoste, nell’arcipelago melanesiano di Vanuatu, viene praticato un rituale dagli adolescenti, il Naghol, cioè “salto nel vuoto”, a cui si ispira lo sport del bungee jumping. Ogni anno, nel periodo della raccolta dell’igname (il tubero che rappresenta la principale risorsa alimentare dell’isola), decine di giovani si lanciano da una torre alta oltre 25 metri con le caviglie assicurate da liane. Una spettacolare cerimonia di iniziazione incentrata sul coraggio: i maschi, per diventare uomini, devono dimostrare il loro valore con un salto nel vuoto e ingraziarsi così la sorte. Ogni salto è accompagnato da urla e prolungati applausi.

È da questi concetti che parte il progetto fotografico, dove il gesto del tuffo diventa metafora di un salto nell'ignoto e di transizione, da cui i protagonisti riemergono rinvigoriti, trasformati, liberati.

Negli ultimi anni ho fotografato i tuffatori in alcune aree del Salento, come la Grotta della Poesia, una cavità naturale plasmata dal mare Adriatico nella costa rocciosa, nel corso dei secoli. È qui, in questa sorta di piscina naturale, nonostante sia in vigore il divieto di balneazione a causa del pericolo geomorfologico della falesia, che la popolazione viene per sperimentare quello che è diventato un rito collettivo, in cui la paura del vuoto viene affrontata col supporto e gli incoraggiamenti delle persone che attendono il proprio momento per tuffarsi. La paura della singola persona viene condivisa e, a volte, l'attesa del lancio nel vuoto può protrarsi anche per minuti, durante i quali vige un rispettoso silenzio e, a seguito del salto nel vuoto, un applauso collettivo.

In questo progetto ho lavorato per sottrazione: attenuando il contesto estivo ed esaltando l'azione, la performance dei corpi in volo, compiendo un processo di astrazione, invitando l'osservatore a soffermarsi sui tre elementi strutturali della sua serie: la figura umana nel vuoto, con posture che possono risultare deformate dall’istinto, l'aria che questa sposta e infine la roccia, l'elemento preistorico, così come preistorica - sinonimo qui di archetipica - è probabilmente la tensione dell'uomo verso il non conosciuto, la sperimentazione dell’ignoto, il suo desiderio di "andare oltre".

Reportage per Internazionale by Filippo Venturi

Su Internazionale è uscito il mio servizio fotografico su Ravenna, dove “è in corso una battaglia che va ben oltre i confini della città: si tratta di capire come produrre e consumare energia in Italia nei decenni a venire”. Reportage di Marina Forti. Photoeditor: Giovanna D’Ascenzi.

Qui il link all’articolo: Ravenna è il banco di prova per il futuro energetico in Italia

11 Storie dalla Pandemia by Filippo Venturi

Nel corso del 2020 la Pandemia di Covid-19 ha stravolto le nostre vite, le nostre abitudini e la nostra percezione della realtà. Attraverso 11 storie ho cercato di documentare queste trasformazioni: il vivere in lockdown, il lavoro del personale sanitario in prima linea, le drammatiche testimonianze delle persone che si sono ammalate, il riconoscere l’importanza di certi lavoratori solitamente trascurati, la crisi del settore teatrale, la mutazione del modo di viaggiare e le limitazioni vissute dai bambini.

Questi lavori sono stati pubblicati su giornali come The Guardian, The Washington Post, The Cut New York Magazine, Marie Claire Korea, La Repubblica, Il Venerdì di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Il Resto del Carlino e altri.

Di seguito la presentazione di queste Storie.
Per vedere le fotografie è sufficiente cliccare sulla foto di anteprima.

PANDEMIA L'Italia è stato il primo paese occidentale ad affrontare la pandemia di Covid-19. A marzo 2020 il sistema sanitario del paese è stato colto impreparato ed è stato messo in ginocchio, in particolare nel nord Italia, a causa dell'eccezionali…

FEARLESS
L'Italia è stato il primo paese occidentale ad affrontare la pandemia di Covid-19. A marzo 2020 il sistema sanitario del paese è stato colto impreparato ed è stato messo in ginocchio, in particolare nel nord Italia, a causa dell'eccezionalità di questa tragedia. Le USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) sono squadre di medici addetti al monitoraggio e all’assistenza domiciliare dei malati di Covid-19. Hanno la responsabilità di valutare, in base ai sintomi e allo stato di salute dei malati, chi deve essere ricoverato, evitando così la saturazione dei pronto soccorsi e degli ospedali (Decreto legge n. 14 del 9 marzo 2020). I dottori delle USCA sono giovanissimi. Infatti, a causa della carenza di personale per contrastare la pandemia, da marzo 2020 è stata resa più agevole l'assunzione di neolaureati in medicina, abolendo l’esame di Stato per l’abilitazione alla professione medica, con una misura urgente e straordinaria (Decreto legge n. 18 del 17 marzo 2020). La Regione Emilia Romagna (Nord Italia) è stata una delle prime ad attivare le USCA (già da marzo 2020), le quali sono rimaste sempre attive, anche nei periodi in cui la curva dei contagi diminuiva, diventando una delle risorse fondamentali nell'affrontare la pandemia. A fine 2020 le USCA erano composte da 420 persone (358 dottori e 62 operatori sanitari), con una età media di 33 anni, con circa 11.000 interventi eseguiti ogni mese. Così, giovani dottori e dottoresse hanno sospeso la specializzazione catapultati, da un giorno all'altro, dallo studio della professione all'affrontare una pandemia in prima linea, 7 giorno su 7. Le fotografie sono leggermente sfocate a causa della plastica trasparente con cui ho dovuto coprire la macchina fotografica per evitarne la contaminazione.

HOTEL CORONAVIRUS L'Hotel Paradise Airport di Forlì è un albergo della regione Emilia-Romagna che si è convertito a struttura dedicata a ospitare malati di Covid-19 in quarantena. L'hotel ha messo a disposizione 40 camere. Buona parte degli ospiti l…

HOTEL CORONAVIRUS
L'Hotel Paradise Airport di Forlì è un albergo della regione Emilia-Romagna che si è convertito a struttura dedicata a ospitare malati di Covid-19 in quarantena. L'hotel ha messo a disposizione 40 camere. Buona parte degli ospiti lavora in strutture sanitarie a rischio, come ospedali e case di riposo, nel ruolo di operatore socio sanitario e infermiere. L'albergo - costruito di fronte all'aeroporto di Forlì - era riuscito a superare le difficoltà dovute alla precoce chiusura dell'aeroporto nel 2013 conquistando comunque una sua clientela e facendo 20.000 presenze l’anno.  L’aeroporto avrebbe dovuto riaprire questa primavera, ma l’operazione è stata bloccata a causa dell'emergenza sanitaria e i pernottamenti nell’hotel si sono azzerati. Daniele Casadio - forlivese di 46 anni, proprietario dell'Hotel Paradise Airport - vista la carenza di lavoro, ha deciso di fornire un servizio alla comunità e dal primo aprile ha firmato un contratto con l'AUSL della Romagna col quale ha messo a disposizione la propria struttura. Daniele viene aiutato dalla moglie Alessandra e dalla zia Simona che lo aiutano da casa svolgendo pratiche online e che non vede da settimane. Daniele infatti ha deciso che, finché questa situazione non sarà finita, vivrà nel suo albergo e vedrà la propria famiglia (compresi i suoi due figli) soltanto attraverso lo smartphone, per non metterli a rischio. Ora gli ospiti dell'albergo sono pazienti positivi al Covid-19 che, asintomatici o con sintomi lievi oppure dopo aver superato la fase acuta della malattia, trascorrono qui almeno 2 settimane di quarantena, dopo le quali sono sottoposti a due tamponi per verificare l’eventuale guarigione. Quando entrambi i tamponi risulteranno negativi, potranno tornare a casa. Il soggiorno in hotel è tutt'altro che semplice: l'ospite trascorre la propria giornata in una stanza di 12mq, lontano dalla propria casa e famiglia, impossibilitato a uscire (l'ingresso non è chiuso a chiave, ma per senso di responsabilità non esce) e con ripercussioni psicologiche complesse che, in alcuni casi, con prolungati periodi di quarantena, causano anche attacchi di panico. Non essendo presente una assistenza psicologica in loco, spesso queste crisi vengono affrontate in solitudine dall'ospite oppure parlando e aprendosi col personale dell'hotel. L'AUSL ha fornito un protocollo preciso per quanto riguarda la sanificazione e le pulizie, ma non ha consegnato DPI (dispositivi di protezione individuale, cioè mascherine e guanti), che Daniele si procura in autonomia per sé e i suoi collaboratori. Daniele ha anche ideato un protocollo per la gestione dei pasti dei malati: i 3 pasti quotidiani vengono preparati dal ristorante adiacente all'albergo e lasciati sulle sedie posizionate accanto all'ingresso delle camere; in questo modo le persone in isolamento possono ritirare il cibo senza venire a contatto col personale. Tutte le stanze hanno un affaccio verso l'esterno e non sono comunicanti tra loro; questo consente di effettuare con la stessa modalità dei pasti la consegna o il ritiro delle lenzuola, della biancheria e di altro materiale.

WHO RESCUE THE RESCUERS? La pandemia di Covid-19 ha messo sotto un fortissimo stress gli operatori sanitari di tutti i paesi coinvolti. Gli operatori sanitari, impegnati in prima linea nel fronteggiare l'emergenza sanitaria, da mesi sono esposti al …

WHO RESCUE THE RESCUERS?
La pandemia di Covid-19 ha messo sotto un fortissimo stress gli operatori sanitari di tutti i paesi coinvolti. Gli operatori sanitari, impegnati in prima linea nel fronteggiare l'emergenza sanitaria, da mesi sono esposti al rischio di infezione e a un sovraccarico emotivo: carenza di adeguati dispositivi di protezione individuale (in particolare durante la prima ondata in primavera), adattamento a lavorare in condizioni e discipline diverse da quelle di appartenenza, turni di lavoro incalzanti, fatica fisica, riduzione delle risorse umane e in alcuni casi precarietà organizzativa. Ai rischi che si corrono in ambito lavorativo, si aggiunge quello dell'isolamento sociale. Questi lavoratori spesso hanno ricevuto l’invito a continuare a lavorare anche dopo essere stati a contatto con malati di Covid-19, provocando una reazione di auto-isolamento, riducendo o azzerando i rapporti con propri familiari, per preservarli dal contagio. Fra febbraio e dicembre 2020 in Veneto, una delle regioni italiane più colpite dalla pandemia, circa 4.200 medici, infermieri, tecnici di laboratorio e operatori sociosanitari hanno rifiutato l’assunzione per non lavorare in reparti Covid-19. A fine 2020 Sineva Ribeiro, presidente dell'Associazione svedese dei professionisti della salute, ha denunciato una ondata di dimissioni da parte del personale infermieristico nel suo paese. Studi sui rischi psico-sociali dello stress tra il personale sanitario durante le epidemie di SARS ed Ebola, durante la pandemia influenzale A/H1N1 e durante la gestione dell’epidemia Covid-19 in Cina, hanno rilevato la comparsa di sintomi associabili a stress post traumatico. In Italia, il primo paese occidentale a fronteggiare la pandemia, sono stati attivati servizi di supporto psicologico, proprio per aiutare gli operatori sanitari ad affrontare le difficoltà lavorative e sociali, dovute all’emergenza sanitaria. Durante il mio lavoro di documentazione sulla pandemia in Italia, ho notato che in un Reparto Covid-19 il personale aveva adottato, in modo spontaneo, delle cuffie colorate o con disegni (l’unico indumento/dispositivo che potevano personalizzare sul posto di lavoro). Questa usanza, da sempre applicata nei reparti di pediatria degli ospedali, può sembrare poco rilevante, ma è un piccolo gesto che esprime la necessità di fare squadra e che aiuta ad alleggerire l'ambiente lavorativo. Così ho ritratto tutti i lavoratori del Reparto Covid-19, sul posto di lavoro, in divisa e con la propria cuffia personalizzata in testa.

BIRDCAGE A causa del Coronavirus, a marzo in Italia è stato imposto il primo rigido lockdown. Le limitazioni previste dal governo italiano prevedevano la possibilità di uscire solo per: comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza, situazioni di…

BIRDCAGE
A causa del Coronavirus, a marzo in Italia è stato imposto il primo rigido lockdown. Le limitazioni previste dal governo italiano prevedevano la possibilità di uscire solo per: comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza, situazioni di necessità (come fare la spesa) e motivi di salute. Esclusi da queste deroghe i bambini, che per molte settimane non sono potuti uscire di casa. Ho condiviso il mio isolamento domestico con mio figlio Ulisse di 2 anni e la mia compagna. Le giornate erano difficili a livello mentale e tutte uguali, con nuove routine come i quotidiani aggiornamenti della Protezione Civile con la conta dei morti. In questa situazione così precaria e sospesa, la nostra preoccupazione era tutta per il benessere di Ulisse. Privato del gioco con i coetanei e dell'apprendimento fornito dall'asilo, ci siamo domandati come proteggerlo, ma anche come garantirgli un futuro sereno. L'aiuto più grande è arrivato da Ulisse stesso, che ha esplorato questa nuova realtà con la curiosità e la capacità di adattamento che soltanto un bambino può possedere. Ai suoi occhi ogni stanza è diventata un luogo da osservare attentamente, ogni oggetto ha trovato una nuova funzione. Una torcia rossa d'emergenza, dimenticata in un angolo, è diventato il mezzo con cui illuminare questo nuovo mondo.

RIDERS AT THE TIME OF CORONAVIRUS Col DPCM dell'11 Marzo il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, per fronteggiare l'emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus ha ampliato le misure adottate per il contenimento del contagio, preveden…

RIDERS AT THE TIME OF CORONAVIRUS
Col DPCM dell'11 Marzo il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, per fronteggiare l'emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus ha ampliato le misure adottate per il contenimento del contagio, prevedendo la chiusura anche di bar e ristoranti nelle città (con alcune eccezioni nelle autostrade, aeroporti, ecc), confermando però il permesso a consegnare a domicilio di cibi tramite il lavoro dei rider, fattorini a volte legati a piattaforme online e altre volte lavoratori dei ristoranti e negozi di alimenti che si sono adeguati per continuare a lavorare. "Sembra quasi che le consegne a domicilio siano diventate un servizio pubblico indispensabile al pari della sanità, delle farmacie, dei negozi di generi alimentari: un servizio essenziale che dovremmo svolgere noi senza tutele, invisibili di questa economia", sostengono i Sindacati di categoria. I rider e le consegne a domicilio rappresentano, per chi è costretto a restare in casa, uno dei pochi modi per interrompere la routine, relazionarsi con l'esterno e poter fingere per il tempo di un pasto che la normalità si sia ristabilita. L'idea del progetto è nata sabato 14 marzo quando, scherzosamente, ho proposto alla mia compagna di festeggiare dopo diversi giorni di isolamento in casa, proponendo di ordinare la pizza a domicilio. Durante l'attesa ho pensato a cosa poteva provare chi per lavoro è costretto a girare per la città e ad incontrare persone, senza sapere se queste sono infette (o magari in quarantena). Da qui l'idea che mi ha permesso di realizzare un reportage, effettuando ordini a domicilio, ritraendo e intervistando oltre 40 rider sul cancello di casa mia, il confine dei nostri due mondi dove potevamo incontrarci.

YARD TIME Nella mia routine quotidiana, durante il lockdown dovuto all'emergenza di Covid-19, mi è venuto naturale osservare i miei vicini di casa, come un novello James Stewart ne "La finestra sul cortile". Vivendo nella periferia di una città medi…

YARD TIME
Nella mia routine quotidiana, durante il lockdown dovuto all'emergenza di Covid-19, mi è venuto naturale osservare i miei vicini di casa, come un novello James Stewart ne "La finestra sul cortile". Vivendo nella periferia di una città media italiana, la mia attenzione si è focalizzata sui balconi, i giardini e tutte quelle aree che solitamente non sfruttiamo e apprezziamo appieno. Paradossalmente, il contatto fra vicini di casa si è intensificato: capita più spesso di dialogare, di confrontarsi su come si sta vivendo questo periodo e, in alcuni casi, anche di avere veri e propri contatti, da un lato rischiosi, ma necessari per non impazzire a causa dell'isolamento forzato. In poche settimane abbiamo rivisto le nostre priorità, compresa quella di avere un contatto umano che vada oltre quello digitale.

FORBIDDEN PLACES A marzo 2020 il teatro in Italia è stato fermo a causa del lockdown imposto dal Governo per contenere la diffusione del Covid-19. Sebbene a maggio, nella cosiddetta "Fase 2", sia iniziata la graduale riapertura delle attività, il bl…

FORBIDDEN PLACES
A marzo 2020 il teatro in Italia è stato fermo a causa del lockdown imposto dal Governo per contenere la diffusione del Covid-19. Sebbene a maggio, nella cosiddetta "Fase 2", sia iniziata la graduale riapertura delle attività, il blocco del settore teatrale è continuato per diversi mesi. Il 18 aprile, in un’intervista, il viceministro della Salute Pierpaolo Sileri aveva dichiarato che nella Fase 2 «si può ri-aprire in base alla capacità di seguire le regole, di osservare la distanza tra i dipendenti e tra coloro che accedono, alla presenza di mascherine, guanti e disinfettanti, alla sicurezza anche di mense, bagni, eccetera [...] Le scuole riapriranno a settembre, per ultimi cinema e teatri”. Il settore cultura in Italia, in particolare la ri-organizzazione del teatro, è stato trascurato dalle iniziative governative e tutto quell'universo di professionisti che vi lavora - partendo da attori e registi e includendo anche i lavoratori dietro le quinte come tecnici, truccatori, costumisti e così via - si trova in un limbo da cui, al momento, è difficile immaginare l'uscita. In estate è stato possibile riprendere gli spettacoli, soprattutto all’aperto, mentre all’interno dei teatri vi erano rigide misure di prevenzione che limitavano enormemente l’ingresso del pubblico. Con l’arrivo della seconda ondata di Covid-19, i teatri sono stati nuovamente chiusi in autunno.

NEW ITALIAN THEATER Dal 15 giugno 2020, dopo quasi 4 mesi di lockdown, i teatri italiani hanno potuto riaprire - secondo quanto previsto dal Decreto del Governo del 17 maggio - garantendo però il distanziamento fisico tra gli attori, la misurazione …

NEW ITALIAN THEATER
Dal 15 giugno 2020, dopo quasi 4 mesi di lockdown, i teatri italiani hanno potuto riaprire - secondo quanto previsto dal Decreto del Governo del 17 maggio - garantendo però il distanziamento fisico tra gli attori, la misurazione della temperatura corporea, l'igienizzazione degli ambienti, la possibilità di disinfezione delle mani, l'adeguata aerazione e l'obbligo della mascherina per il pubblico. Le condizioni da rispettare hanno reso necessaria una completa riorganizzazione del settore, sia nell'atto creativo e di produzione, sia nell'accogliere il pubblico. Marche Teatro ha pensato e prodotto uno spettacolo che potesse rispettare i dettami resisi necessari, ma che potesse anche aprire una riflessione sulla condizione attuale e sul ruolo del teatro nella società. “L’attore nella casa di cristallo” è uno spettacolo teatrale pensato e prodotto durante l’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 e che è stato proposto per la prima volta al pubblico il 15 giugno 2020 (il primo giorno di apertura dei teatri) nel Piazzale del Teatro delle Muse di Ancona. Ogni sera dal 15 al 28 giugno, due attori/attrici simbolicamente rinchiusi ciascuno dentro una grande teca trasparente, hanno offerto la propria arte al pubblico, in una performance che rappresenta perfettamente l’attuale condizione del mondo del teatro in cui artisti e pubblico devono rigorosamente mantenersi separati. Lo spettacolo immagina un futuro distopico in cui il teatro è stato abolito per far spazio a più sani divertimenti “capaci di contribuire alla crescita del Prodotto Interno Lordo”. Gli attori vivono rinchiusi in case trasparenti ed esposti allo sguardo del pubblico. Agli attori, nella loro condizione di totale solitudine, non resta che ripetere ciò che ricordano del loro antico mestiere: brandelli di testo, passi di danza, brani di canzoni, per non perdere la memoria e per sperare di poter tornare presto al tempo in cui i teatri erano colmi e gli attori gratificati dagli applausi. Il pubblico ha potuto assistere in numero limitato alla performance che è stata ripetuta due volte a sera; agli spettatori è stato consegnato un auricolare personale e una radio ricevente per poter ascoltare le parole degli attori.

THE CONDOMINIUM L'emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus ha richiesto agli italiani di adottare il distanziamento sociale, di guardare con preoccupazione e diffidenza chiunque, per timore che potesse essere contagioso e che potesse quindi trasmet…

THE CONDOMINIUM
L'emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus ha richiesto agli italiani di adottare il distanziamento sociale, di guardare con preoccupazione e diffidenza chiunque, per timore che potesse essere contagioso e che potesse quindi trasmettere a noi, e quindi alla nostra famiglia, quel nemico subdolo che può essere che un virus invisibile e sconosciuto. In un condominio di Forlì, però, questo periodo di difficoltà ha prodotto nei suoi abitanti una reazione opposta, di condivisione delle difficoltà e di ricerca di una serenità nel micro-cosmo che rappresenta un condominio. Un condomino, che lavora come infermiere e gira in ambulanza, informava gli altri condomini della realtà che si trovava ad affrontare, così da renderli consci del pericolo in circolazione. Un altro condomino organizzava eventi in pub e ristoranti e, durante il lockdown, ha deciso di organizzare dei giochi a quiz con dei teloni installati nel cortile, mettendo a disposizione la propria attrezzatura. In questo modo gli abitanti hanno potuto giocare con dei telecomandi dai propri balconi, così da essere in sicurezza, ma potendo comunque condividere dei momenti di relax, di svago. "Prima ci davamo il buongiorno e la buonasera quando ci incrociavamo, come richiede la buona educazione, ma non si andava oltre. Con l'arrivo del Coronavirus e del lockdown, abbiamo iniziato a condividere ansie e a supportarci a vicenda. Ogni condomino ha fatto la propria parte, dato il proprio aiuto", racconta con orgoglio Fausto Peppi, il condomino che ha pensato di organizzare i giochi a quiz. Il primo giugno 2020 questo gioco collettivo è diventato ormai una tradizione, si è ripetuto, questa volta però i condomini si sono incontrati nel cortile, guardandosi in viso e potendo sorridersi, condividendo una pizza per cena e facendo giocare i bambini insieme. Fausto Peppi spera che il Comune di Forlì gli conceda in estate il grande giardino adiacente al condominio, così da organizzare la visione di film per bambini, invitando tutti i condomini e anche gli altri abitanti del quartiere.

ITALIAN JOURNEY Il 30 Gennaio 2020, i primi due casi di pazienti positivi al Covid-19 sono stati confermati in Italia. Questo evento ha innescato un'emergenza sanitaria senza precedenti e ha infranto la speranza del Paese di non essere toccato dalla…

ITALIAN JOURNEY
Il 30 Gennaio 2020, i primi due casi di pazienti positivi al Covid-19 sono stati confermati in Italia. Questo evento ha innescato un'emergenza sanitaria senza precedenti e ha infranto la speranza del Paese di non essere toccato dalla pandemia che, successivamente, ha colpito il mondo intero. Dopo quel giorno l'Italia ha vissuto una rapida discesa che ha trasformato la realtà quotidiana in un circolo infernale, sia per chi è stato direttamente colpito dal virus, sia per chi lo ha vissuto a livello psicologico a causa del lockdown iniziato l'8 marzo e terminato il 3 maggio. Il lockdown e la Fase 2, quella della riapertura con limitazione negli spazi pubblici e nei negozi, hanno stravolto il senso di libertà e di spazio, che le generazioni attuali non hanno mai visto così sacrificato. Durante l'anno mi è capitato di fare sogni su questa nuova realtà. Con questa serie fotografica ho cercato di descrivere la sensazione di impotenza vissuta nei piccoli gesti quotidiani - nell'uscire di casa, nel viaggiare e nell'incontrare altre persone - ma anche di osservare come le persone cercavano di adattarsi.

NO COUNTRY FOR YOUNG MEN Il primo lockdown in Italia - dovuto al Coronavirus - ha costretto gran parte della popolazione all'isolamento domestico, con conseguenti problematiche a livello sociale, lavorativo, economico e psicologico. Le limitazioni p…

NO COUNTRY FOR YOUNG MEN
Il primo lockdown in Italia - dovuto al Coronavirus - ha costretto gran parte della popolazione all'isolamento domestico, con conseguenti problematiche a livello sociale, lavorativo, economico e psicologico. Le limitazioni previste dal governo italiano prevedevano per la popolazione la possibilità di uscire soltanto per: comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza, situazioni di necessità (come fare la spesa) e motivi di salute. Esclusi da queste deroghe i bambini, che per molte settimane non sono potuti uscire di casa. Se i ragazzi in età scolastica hanno comunque proseguito le lezioni grazie all’online e hanno continuato a sentirsi con gli amici grazie all'uso della tecnologia, la fascia di bambini in età pre-scolastica ha visto improvvisamente interrotto il proprio percorso educativo con la chiusura degli asili nidi e delle scuole materne, privati dell'interazione coi propri compagni e esclusi dalla possibilità di fare esperienze col mondo esterno. Nella cosiddetta fase due - iniziata il 4 maggio 2020 - è possibile portare fuori di casa i bambini per delle passeggiate, ma non è possibile farli incontrare con i coetanei (non sapendo gestire le precauzioni previste di distanziamento sociale) e non è possibile farli giocare nei parchi, essendo "chiuse" le aree giochi a loro dedicate. La situazione di emergenza straordinaria e senza precedenti nella storia recente ha duramente messo alla prova la vita sociale per come la conosciamo. Lo sforzo della popolazione di adattarsi è stato notevole e anche le infrazioni (come il fare la spesa più volte al giorno come scusa per uscire e cercare un "contatto" con altre persone) sono alla fine comprensibili, essendo la convivenza sociale una necessità fondamentale. Non siamo stati però pronti nel fornire alcun tipo di soluzione per la fascia di bambini in età pre-scolastica, sicuramente più difficili da gestire nel contesto di distanziamento sociale, ma che rischiano di pagarne le conseguenze nella formazione della propria identità e personalità.

New Year's Eve on the Balcony by Filippo Venturi

New Year's Eve on the Balcony
(Forlì, Italia, 31 Dicembre 2020)

In un Capodanno atipico come quello appena trascorso, con lo stop agli spostamenti dalle 22 alle 7 del primo gennaio e il divieto di assembramenti, alcuni forlivesi si sono ingegnati per festeggiare comunque l’inizio del 2021, pur rispettando le norme in vigore.

"Il Tombolazzo dei Palazzi" nasce dall’idea di Fausto Peppi (52 anni), speaker radiofonico, con l’aiuto di Maurizio Orlando (56 anni), finanziere in pensione, Giovanni Laghi (66 anni), ex imprenditore di prodotti per la sicurezza in pensione, e altri condomini.

All’evento hanno aderito 60 famiglie residenti negli 8 condomini che si affacciano sul parco di Via Martiri delle Foibe, nel quartiere Romiti. L'installazione di alcune casse wi-fi nei cortili dei palazzi ha consentito dalle ore 22 la diffusione di musica in tutta l’area, permettendo ai condomini di ballare dal proprio balcone. Alle 23 ha avuto inizio la tombola con premi autofinanziati dalle famiglie partecipanti. Grazie all’impianto installato e alla regia video posizionata nel salotto e nel balcone di Fausto Peppi, i condomini hanno potuto giocare e gridare la propria vincita dai terrazzi. Allo scoccare della mezzanotte naturalmente il brindisi collettivo ha consacrato la fine di questo anno terribile.

Già il 25 aprile scorso, in pieno lockdown, e poi di nuovo il primo giugno, Fausto Peppi era riuscito a coinvolgere i suoi vicini di casa organizzando "Il Cervellone dal Balcone", un quiz collettivo a cui avevano partecipato sempre dai propri balconi diverse famiglie di condomini attraverso una pulsantiera wireless e due maxi schermi posizionati nei cortili.

“Prima della pandemia ci davamo il buongiorno e la buonasera quando ci incrociavamo, come richiede la buona educazione, ma non si andava oltre. Con l'arrivo della pandemia e il conseguente lockdown di primavera, abbiamo iniziato a condividere ansie e a supportarci a vicenda. Ogni condomino ha fatto la propria parte, ha dato il proprio aiuto. Da lì è nata l’idea di coinvolgerli con il quiz che poi è parte del mio lavoro”, racconta con orgoglio Fausto Peppi. “I rapporti tra il vicinato erano già buoni prima ma ora con diverse persone si è molto approfondita la conoscenza”.

E ora? "Vorrei fare qualcosa per i bambini, come un cinema all'aperto, utilizzando il parco pubblico fra i condomini, ma mi servirebbe il supporto delle istituzioni. Il giardino non è ben frequentato, specie nella zona che dà sul fiume, e si sono verificati più volte furti nei nostri garage, oltre allo spaccio. Vorrei lanciare il messaggio che il parco è dei bambini”.