Nonostante la pandemia, i lockdown e altre complicazioni, negli ultimi 6 mesi siamo riusciti a condurre un laboratorio fotografico e a tenerlo unito (fra incontri di persona, webcall, telefonate, chat e altro), coinvolgendo 20 donne di 9 nazionalità diverse.
Ce l'abbiamo messa tutta e pensiamo di aver compiuto un piccolo ma importante passo sul (purtroppo lungo) percorso che porterà al raggiungimento dell'uguaglianza di genere e dell'emancipazione di donne e ragazze, perseguendo il programma dell’Agenda ONU 2030. Uscirà anche un libro che raccoglierà il frutto del lavoro di tante persone. Presto maggiori dettagli sulle istituzioni e le persone che hanno reso possibile il tutto!
Yuval Noah Harari, Tre lezioni per il futuro /
"L'anno del Covid ha evidenziato il ruolo cruciale che molti lavori pagati poco svolgono nel mantenimento della civiltà umana: infermieri, operatori sanitari, camionisti, cassieri, addetti alle consegne. [...] Nel 2020 i fattorini sono stati il filo rosso che ha tenuto insieme la civiltà. Sono diventati la nostra importantissima linea di comunicazione con il mondo fisico."
Su Internazionale c'è un interessante articolo di Yuval Noah Harari per il Financial Times sulla pandemia. Fra le varie osservazioni che compie, mi rincuora vedere che anche uno storico del suo calibro abbia riconosciuto l'importanza dei fattorini/rider durante il lockdown e che, personalmente, sono stati il primo progetto che ho affrontato nei primissimi giorni in cui eravamo confinati in casa.
Qui l’articolo originale: Yuval Noah Harari: Lessons from a year of Covid
Parliamo di FotograFIAF /
Oltre 350 persone hanno seguito l'incontro del ciclo "Parliamo di FotograFIAF", in cui il sottoscritto e Cristina Paglionico hanno dialogato con l'affermata artista forlivese Silvia Camporesi dei suoi progetti. Era la prima volta che partecipavo in qualità di "esperto" e devo dire che il clima cordiale e professionale ha fatto volare le 2 ore della conferenza online.
Il ciclo di incontri è organizzato da FIAF | Federazione Italiana Associazioni Fotografiche che, durante l'ultimo anno di emergenza sanitaria, ha messo in piedi un sistema di eventi online che ha consentito a tutti gli appassionati di fotografia di rimanere in contatto e la partecipazione di centina di persone ad ogni diretta ne dimostra l'apprezzamento!
Incontro sulla Corea del Nord e del Sud /
FILIPPO VENTURI ci racconta LE DUE COREE A CONFRONTO: NORD E SUD
I progetti sulla penisola coreana del fotografo Filippo Venturi raccontano il moderno e ambizioso Sud e l’ermetico e inaccessibile Nord. Le differenze, ma anche le somiglianze, di un popolo separato da 70 anni e che oggi vive in due mondi opposti a livello politico, economico e sociale.
Martedì 9 Marzo 2021, ore 21.00.
Vi accoglieremo sulla nostra piattaforma virtuale a partire dalle 20.45 e alle 21.00 inizieremo il nostro viaggio.
Fra il 2015 e il 2017 il fotografo ha svolto un progetto a lungo termine sulla penisola coreana documentando, in Corea del Sud, l’incredibile crescita economica e tecnologica basata sull’estrema competizione instillata fra i giovani che però ha prodotto anche effetti collaterali gravi e, in Corea del Nord (come inviato di Vanity Fair), la pressione esercitata dalla propaganda dalla dittatura della dinastia dei Kim sui giovani, volta a preparare il paese per la guerra contro gli USA e al sogno di riunificazione sotto la guida del Supremo Leader Kim Jong-un.
Filippo Venturi, fotografo documentarista, realizza progetti su storie e problematiche riguardanti l’identità e la condizione umana. I suoi lavori sono stati pubblicati su The Washington Post, The Guardian, Financial Times, Newsweek, Vanity Fair, Internazionale e altri. Il progetto sulla penisola coreana gli è valso diversi premi fra cui il Sony World Photography Awards e il Portfolio Italia – Gran Premio Hasselblad. I suoi lavori sono stati esposti in Italia e all’estero: fra cui il Foro Boario di Modena come “Nuovo Talento” di Fondazione Fotografia, il MACRO di Roma, la Somerset House di Londra, lo U Space di Pechino e il Sony Square di New York City
Filippo Venturi, autore del progetto, guiderà il nostro viaggio. Moderatrice: Valentina Binda, responsabile di Karis. Interventi a cura di Cristina Silvera, storica dell’arte, e Mirko Bonfanti, caporedattore di Discorsi Fotografici Magazine.
Il tour avverrà in diretta, per circa 60 minuti, in modalità webinar, con spazio finale per domande. Per seguire la diretta basterà disporre di pc o tablet connessi stabilmente a internet. La mattina stessa della diretta verrà inviato via mail il link per il collegamento alla stanza virtuale.
TERMINE ISCRIZIONE E PAGAMENTI
QUOTA DI PARTECIPAZIONE: 13.- fr / 12 €
I posti disponibili sono limitati, per consentire eventuali domande. Potrete seguire la nostra diretta da pc o tablet, connessi a internet, facilmente e senza dover scaricare nessun programma. Per una fruizione ottimale della visita si sconsiglia l’utilizzo dello smartphone.
La durata prevista è di circa 60 minuti e al termine ci sarà spazio per eventuali domande all’autore.
Iscrizioni entro il 6 Marzo scrivendo a info@karisevents.com
Eventuali rinunce dopo l’iscrizione e il saldo comporteranno la perdita dell’intera quota di iscrizione.
Karis non sarà responsabile di eventuali problemi tecnici o di connessione internet da parte dei partecipanti.
Link al sito ufficiale: FILIPPO VENTURI ci racconta LE DUE COREE A CONFRONTO: NORD E SUD
Intervista per Discorsi Fotografici Magazine /
E’ uscita oggi, su Discorsi Fotografici Magazine, una mia intervista sulla fotografia documentaria e sui miei lavori fotografici, a cura di Mirko Bonfanti :)
L’articolo originale è disponibile al seguente link: La fotografia documentaria di Filippo Venturi
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La fotografia italiana ha sempre avuto una forte caratterizzazione documentaria: pensiamo a personaggi del calibro di Patellani, De Biasi, Dondero, Lucas, solo per citarne alcuni. Questa eredità identitaria viene tuttora rispettata e portata coraggiosamente avanti da una schiera di giovani leve che, spesso e volentieri, ricevono importanti riconoscimenti, più all’estero che in terra natia. Il genere fotografico del reportage soffre da tempo la crisi dell’editoria, inoltre l’elevata concorrenza rende complesso distinguersi ed emergere dalla massa di proposte. Chi ci riesce opera un serio lavoro di pianificazione a tavolino sui temi da affrontare, sulle modalità, sul linguaggio e sullo stile, con impegno e determinazione. E lascia poco margine al caso. Filippo Venturi, cesenate, è un fotografo documentarista che realizza progetti personali che indagano temi quali l’identità e la condizione umana. Collabora con magazine e quotidiani italiani ed esteri, ed ha vinto numerosi premi fra i quali il Sony World Photography Awards, il LensCulture Emerging Talent Awards, il Premio Il Reportage, il Premio Voglino e si è aggiudicato il Portfolio Italia – Gran Premio Hasselblad.
Qual è la tua personale storia della fotografia?
Il mio primo incontro con la fotografia non è stato particolarmente romantico. Mi sarebbe piaciuto che, a introdurmi in questo grande linguaggio, fosse stato un genitore o un nonno, ma in realtà è stata una scoperta solitaria e tardiva. Avevo già 28 anni e una formazione da informatico alle spalle, quando osservando alcuni progetti fotografici online, con un interesse più intenso del solito, è esploso il desiderio di imparare a fotografare. Ho così iniziato a studiare partendo da un corso di Silvia Camporesi (artista visiva oggi molto affermata), che mi è stato utile per approcciarmi all’utilizzo progettuale della fotografia, andando quindi oltre la singola bella immagine. Poi ho approfondito la tecnica e altri aspetti. Dal 2010 ho iniziato a lavorare con questo mezzo ma non ho mai smesso di studiare e osservare i lavori altrui.
Come nasce e quali sono le scintille che alimentano il tuo interesse fotografico verso la documentazione dell’uomo, della sua condizione, della sua identità?
Nei primi anni da fotografo mi è capitato di fare di tutto: fotografo sportivo (che ancora oggi svolgo per alcune società di calcio e rugby), fotografo di scena a teatro (ancora oggi continuo), matrimoni, concerti e altro ancora. È stata una gavetta molto importante perché mi ha permesso di allenare la capacità di adattamento e anche di capire cosa realmente mi interessava. Nel 2012 ho svolto quello che considero il mio primo progetto (In Oblivion, a New York), in cui non mi trovavo a documentare un evento o qualcosa di già programmato, ma ero io a individuare un tema e a cercare di raccogliere materiale per sviluppare quella storia. All’epoca ebbe un buon riscontro, lo considerai un test superato, e questo mi diede la convinzione di continuare su quella strada e cercare di migliorarmi. Continuando con altri lavori di documentazione, ho capito che a me interessano le persone, la loro identità, le loro storie e che quando riesco a ripagare la loro fiducia nell’aprirsi e farsi fotografare, dando visibilità alla problematica in questione, mi sento realizzato.
Quanto è complesso in un mondo concorrenziale come quello di oggi creare progetti vendibili che siano originali e che abbinino una autorialità che emerga dalla massa?
Internet ha rappresentato una grande opportunità per molti lavoratori e, fra questi, anche i fotografi. Io, ad esempio, vivendo in una città di media grandezza, lontana dai grandi centri della fotografia, ho sfruttato quel mezzo per far arrivare i miei lavori in tutto il mondo con pochi click. Ovviamente questa opportunità agevolerà tutti i fotografi, compresi (giustamente) quelli che vivono in paesi dove era ancora più difficile mettersi in luce. In futuro immagino che avremo sempre più grandi fotografi russi, indiani, cinesi, ecc riconosciuti a livello internazionale. A questo punto, quindi, diventa essenziale puntare sulla produzione di lavori di qualità, originali, sensibili e che sappiano anche anticipare i tempi, oppure coprire tematiche ad ampio raggio che rimarranno attuali e interessanti per anni. Inoltre, potendo vedere più facilmente, grazie ad Internet, cosa è già stato fatto su un certo tema o una certa storia, è possibile evitare di rifare inconsapevolmente qualcosa e, anzi, ci dà l’opportunità di puntare più in alto, cercando di approfondire in maniera unica e completa l’argomento in questione. Per fare qualcosa di irripetibile o quasi.
Molti appassionati di fotografia non immaginano quanto poco tempo un professionista passi a scattare fotografie, piuttosto che studiare, documentarsi, confrontare il lavoro degli altri, verificare, organizzare, fare lavori di scrivania. Lo confermi anche tu?
Lo confermo, purtroppo! Nel senso che la fase di scatto è quella in cui sento di più l’adrenalina, sia quando sto andando a incontri programmati con persone o eventi, sia quando devo improvvisare e sento che qualcosa sta per accadere attorno a me e devo essere pronto a catturarlo.
Per il lavoro “Made in Korea”, sulla Corea del Sud, ho trascorso quasi un anno a raccogliere materiale, notizie, informazioni, a guardare i lavori fotografici già svolti, a procurarmi contatti sul posto che potessero facilitarmi gli spostamenti e gli incontri con i giovani sudcoreani, fino a farmi un vero e proprio programma di quello che avrei fatto, giorno per giorno. Chiaramente parliamo di fotografia: programmare è essenziale, ma altrettanto è cogliere quelle situazioni che la realtà ti regala e che non potevi immaginare o prevedere. Alla fine “Made in Korea” è composto e bilanciato da fotografie cercate (fatte in determinati luoghi e situazioni legate al tema che stavo approfondendo) e da scatti “trovati” fortuitamente durante gli spostamenti o in situazioni che non avevo previsto.
Quello appena trascorso è stato un anno drammatico e particolare. Tu non sei stato con le mani in mano e hai prodotto ben 11 lavori sul Covid, andando ad analizzare in modo originale diverse tematiche, anche intime e personali. Puoi raccontarci come hai vissuto la pandemia e come sei riuscito a trovare le idee e a quale di questi progetti sei più legato?
La pandemia ha mandato all’aria tutti i miei piani per il 2020. Uno di questi era il progetto di un lungo viaggio in Cina per il quale avevo già trovato nei mesi precedenti sponsor, guide, autista, ecc. È stata una bella botta vederlo rimandato! A marzo, quando il Covid-19 ha iniziato a colpire duramente l’Italia, siamo finiti al centro dell’attenzione mondiale. Il nostro paese sembrava, in modo assurdo, l’unica nazione occidentale vittima del virus, all’epoca lessi diverse critiche al nostro paese, a livello sanitario e organizzativo, ma per me era prevedibile che il virus avrebbe colpito ovunque. Era soltanto questione di tempo. Ho quindi pensato a come potevo sfruttare la situazione: il mondo voleva notizie e fotografie dall’Italia e io potevo mostrare come stavamo vivendo la pandemia. I primi tre lavori realizzati, che ancora oggi sento particolarmente, hanno riguardato il mio lockdown da casa.
Il primo è focalizzato su come mio figlio di due anni, Ulisse, avesse reagito a quella situazione: il poter stare quasi tutto il tempo con i genitori, ma impossibilitato a uscire, il suo riscoprire la casa venendo meno il resto del suo mondo (l’asilo, i nonni, gli amici). Questo lavoro è uscito su The Washington Post e altri giornali. Il secondo lavoro è sui fattorini delle consegne a domicilio: ho ritratto e intervistato 40 rider sul cancello di casa mia, cioè il nuovo confine del mio mondo. L’idea è arrivata un sabato sera, quando ho ordinato la pizza e nell’attesa mi sono domandato come potesse apparire ai loro occhi questo mondo svuotato, con soltanto loro in circolazione e “costretti” a incontrare persone durante una pandemia, senza sapere magari se chi aveva effettuato l’ordine si trovava in quarantena. Questo progetto è uscito su The Guardian, Il Sole 24 Ore e altri giornali. Nel terzo lavoro ho emulato James Stewart nel film di Alfred Hitchcock “La finestra sul cortile”, cioè ho documentato dalla mia finestra le attività dei miei vicini, che in quel periodo stavano riscoprendo i propri balconi, il proprio giardino e altri spazi all’aperto solitamente trascurati. Questo progetto è uscito su The Cut New York Magazine e altri. In seguito ho documentato un Hotel Covid-19 nella mia città, Forlì; ho raccontato il lockdown dei teatri della regione Emilia Romagna e la riapertura degli stessi in giugno; ho raccontato le aree giochi dei bambini chiuse nei parchi; come circa 60 famiglie di 8 condomini vicini avessero reagito al lockdown, aiutandosi a vicenda e anche facendo amicizia; il nuovo modo di viaggiare in Italia e di percepire la libertà di spostarsi. Negli ultimi due mesi del 2020 ho iniziato un lungo lavoro di documentazione dei servizi dell’AUSL del mio territorio, in particolare documentando i reparti Covid-19 e le squadre USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale), cioè squadre di giovani medici addetti al monitoraggio e all’assistenza domiciliare dei malati di Covid-19 e che valutano quali malati ricoverare e quali no. Questo mi ha permesso quindi di raccontare la pandemia dai loro occhi e come questa abbia violato anche quello spazio che consideriamo il nostro rifugio sicuro, la casa.
I tuoi progetti Korean Dream e Made in Korea hanno ottenuto un grande successo per la qualità, lo stile e la freschezza del racconto per immagini. Come sei riuscito a restituire uno sguardo scevro da pregiudizi, come hai lavorato sul posto e cosa ti sei portato a casa da queste esperienze?
Penso che l’aver pianificato a lungo questi progetti e l’essermi documentato minuziosamente sulle caratteristiche sociali dei due paesi che avrei voluto fotografare, mi abbia reso consapevole di cosa stavo per affrontare. Avevo ben chiaro che tipo di scatti stavo cercando e che tipo di contraddizioni e aspetti volevo mostrare. In Corea del Sud non avevo alcun tipo di limitazione e quindi ho potuto procedere come da programma: avevo organizzato diversi incontri, interviste, visite a università e altri luoghi che erano legati alla tematica che affrontavo. Alcune situazioni le ho trovate fortuitamente e questo è un aspetto che adoro della fotografia: la realtà può ostacolare i tuoi piani, ma può anche farti vivere circostanze non prevedibili che ti permettono di creare fotografie migliori di quelle che potevi immaginare. Di quel viaggio ricordo le persone incontrate, i momenti in cui si sono confidate con me e anche le pause nelle quali condividevamo pasti e confidenze. Sono finito in un noraebang, un palazzo adibito interamente a karaoke e in ristoranti che da solo non avrei mai trovato, ma ho anche visto coi miei occhi il problema delle pensioni insufficienti che costringe molti anziani a dormire in strada. Ho ascoltato le storie di italiani andati a vivere con entusiasmo in Corea del Sud che, una volta finiti dentro i meccanismi sociali del paese, hanno sofferto lo stesso stress e le stesse problematiche dei coetanei coreani, cose che restano invisibili quando si visita il paese da semplice turista.
In Corea del Nord, invece, la musica è stata ben diversa. La dittatura che governa il paese da 70 anni non consente una interazione spontanea dei giornalisti stranieri con la popolazione, ti obbliga a farti assistere da guide che in realtà sono controllori (io e la giornalista con cui sono andato avevamo 4 persone a seguirci nei nostri spostamenti quotidiani), non ti consente di comunicare col resto del mondo (non c’è l’Internet che conosciamo noi) e mette i microfoni nella stanza dove alloggi. Conscio di tutto questo, ho dovuto escogitare il modo per realizzare il mio progetto senza mettere a rischio il mio ritorno a casa. Da non dimenticare che ho visitato quel paese nel maggio 2017, quando le tensioni fra Trump e Kim Jong-un erano alle stelle e si parlava anche di un intervento militare.
Alla fine ho documentato quello che mi interessava, i giovani, fotografando i posti dove vengono formati – asili, scuole, università e altri luoghi previsti dal regime. I miei controllori erano orgogliosi di mostrarmi tutto questo e a volte mi trovavo nella situazione assurda di vederli più preoccupati che fotografassi cose che non mi interessavano (segni di degrado di Pyongyang o persone che secondo loro non tenevano un comportamento consono) invece degli invadenti segni della propaganda, ormai a loro invisibili essendovi immersi da sempre. Da quel viaggio ho portato a casa la consapevolezza di essere fortunato di essere nato e cresciuto in una democrazia. Certi mondi distopici non si trovano soltanto nei romanzi.
Qual è il riconoscimento che, più di altri, ti ha dato la necessaria grinta e la conferma di aver intrapreso la giusta strada?
Per una serie di circostanze, direi che il salto è avvenuto nel 2016, a Londra, alla cerimonia dei Sony World Photography Awards, dove era stato premiato il mio lavoro “Made in Korea”. Al di là della curiosa esperienza – una pomposa cerimonia stile “Notte degli Oscar” – è stato importante perché quel progetto in Corea del Sud rappresentava il lavoro più ambizioso per me, fino a quel momento, e quindi era un ulteriore test per capire se potevo fare un salto di qualità. Inoltre quel riconoscimento mi ha permesso di conoscere persone che poi hanno avuto un ruolo centrale nello sviluppo di altri progetti, come quello in Corea del Nord.
Fra le tue attività c’è anche l’insegnamento. Quali consigli daresti a chi vorrebbe iniziare a utilizzare la fotografia per documentare ciò che lo circonda?
Il requisito essenziale, oltre all’apertura mentale, è la determinazione. A volte mi capita di vedere professionisti, anche di altri settori, che sono agli inizi ma che hanno la predisposizione di chi “ce la farà”. Magari non so dire quanti anni occorreranno, ma so che riusciranno a raggiungere il loro scopo. Avendo io una formazione da informatico, materia che ti insegna ad affrontare problemi molto complessi smontandoli in sotto-problemi più semplici, forse sono stato avvantaggiato in questo approccio. Se, ad esempio, mi trovassi a dover scalare una montagna, pianificherei ogni dettaglio dell’impresa ovviamente ma, una volta iniziata, non ragionerei sul numero complessivo di passi necessari, ma ragionerei sul fatto che devo fare almeno un passo ogni giorno. C’è un detto latino che ricordo sempre: Nulla dies sine linea che significa “Nessun giorno senza una linea“.
Come vedi lo stato della fotografia in Italia? Cosa manca e cosa servirebbe?
La salute dei fotografi italiani di oggi mi sembra ottima. Ci sono tanti colleghi che stanno compiendo lavori straordinari, apprezzati in tutto il mondo. Sulla salute di tutto ciò che ruota attorno ai fotografi, invece, sono meno ottimista. Nell’anno di un evento epocale, come la pandemia di Covid-19, uno dei lavori più importanti è stato svolto da Fabio Bucciarelli grazie all’investimento di tempo e risorse che ha fatto su di lui il New York Times (non mi risultano casi analoghi in Italia), mentre il progetto più lungimirante italiano ritengo che sia la creazione dell’archivio previsto da “The COVID-19 Visual Project”, con diversi lavori fotografici assegnati, possibile grazie a una realtà consolidata come il Festival Cortona On The Move e una banca. Altre iniziative, alcune interessanti e di qualità, sono nate grazie all’impegno di collettivi di fotografi, realtà autofinanziate e iniziative personali dei singoli fotografi. Forse è un po’ poco? Personalmente ritengo che serva una maggiore considerazione del ruolo del fotografo e, di conseguenza, un maggior investimento di risorse. Questo può avvenire inserendo studi e corsi dedicati nei percorsi educativi e formativi, anche in relazione al ruolo importante che ricopre l’immagine nella comunicazione di oggi e nei Social. Chiaramente gli eventuali risultati si vedrebbero dopo parecchi anni.
Mirko Bonfanti
Incontro con gli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Roma /
Oggi ho avuto il piacere di incontrare, su invito di Federica Landi, docente di Fotografia, gli studenti del suo corso dell'Accademia di Belle Arti di Roma e di parlare, per oltre due ore, dei miei progetti fotografici e delle esperienze fatte come fotografo documentarista!
Com’è andata?
A giudicare dal commento di Federica, sotto, sembra benone :)
Oggi all'Accademia di Belle Arti di Roma ci è venuto a trovare Filippo Venturi ed è stato un incontro specialissimo. Con Filippo non abbiamo solo viaggiato attraverso città, paesi e continenti alla ricerca di storie meravigliose, complesse e a volte rischiose da documentare ma ha condiviso con noi tanti piccoli e grandi segreti della professione del fotografo documentarista: il rapporto con i giornali locali e internazionali, l'importanza del network e come costruirlo, la necessità di fare errori e come trarne preziosi insegnamenti, il fotografo come multi skilled professional, capire quando e come fare uscire un nuovo progetto e tanto, tanto altro. Grazie a Filippo abbiamo rimesso le mani nel "fare fotografia" ora, là fuori. Abbiamo capito un po' di più come cavarcela. Un grazie da parte mia e di tutti gli studenti. Erano elettrizzati! #AccademiadibelleartiRoma
11 Storie dalla Pandemia /
Nel corso del 2020 la Pandemia di Covid-19 ha stravolto le nostre vite, le nostre abitudini e la nostra percezione della realtà. Attraverso 11 storie ho cercato di documentare queste trasformazioni: il vivere in lockdown, il lavoro del personale sanitario in prima linea, le drammatiche testimonianze delle persone che si sono ammalate, il riconoscere l’importanza di certi lavoratori solitamente trascurati, la crisi del settore teatrale, la mutazione del modo di viaggiare e le limitazioni vissute dai bambini.
Questi lavori sono stati pubblicati su giornali come The Guardian, The Washington Post, The Cut New York Magazine, Marie Claire Korea, La Repubblica, Il Venerdì di Repubblica, Il Sole 24 Ore, Il Resto del Carlino e altri.
Di seguito la presentazione di queste Storie.
Per vedere le fotografie è sufficiente cliccare sulla foto di anteprima.
New Year's Eve on the Balcony /
New Year's Eve on the Balcony
(Forlì, Italia, 31 Dicembre 2020)
In un Capodanno atipico come quello appena trascorso, con lo stop agli spostamenti dalle 22 alle 7 del primo gennaio e il divieto di assembramenti, alcuni forlivesi si sono ingegnati per festeggiare comunque l’inizio del 2021, pur rispettando le norme in vigore.
"Il Tombolazzo dei Palazzi" nasce dall’idea di Fausto Peppi (52 anni), speaker radiofonico, con l’aiuto di Maurizio Orlando (56 anni), finanziere in pensione, Giovanni Laghi (66 anni), ex imprenditore di prodotti per la sicurezza in pensione, e altri condomini.
All’evento hanno aderito 60 famiglie residenti negli 8 condomini che si affacciano sul parco di Via Martiri delle Foibe, nel quartiere Romiti. L'installazione di alcune casse wi-fi nei cortili dei palazzi ha consentito dalle ore 22 la diffusione di musica in tutta l’area, permettendo ai condomini di ballare dal proprio balcone. Alle 23 ha avuto inizio la tombola con premi autofinanziati dalle famiglie partecipanti. Grazie all’impianto installato e alla regia video posizionata nel salotto e nel balcone di Fausto Peppi, i condomini hanno potuto giocare e gridare la propria vincita dai terrazzi. Allo scoccare della mezzanotte naturalmente il brindisi collettivo ha consacrato la fine di questo anno terribile.
Già il 25 aprile scorso, in pieno lockdown, e poi di nuovo il primo giugno, Fausto Peppi era riuscito a coinvolgere i suoi vicini di casa organizzando "Il Cervellone dal Balcone", un quiz collettivo a cui avevano partecipato sempre dai propri balconi diverse famiglie di condomini attraverso una pulsantiera wireless e due maxi schermi posizionati nei cortili.
“Prima della pandemia ci davamo il buongiorno e la buonasera quando ci incrociavamo, come richiede la buona educazione, ma non si andava oltre. Con l'arrivo della pandemia e il conseguente lockdown di primavera, abbiamo iniziato a condividere ansie e a supportarci a vicenda. Ogni condomino ha fatto la propria parte, ha dato il proprio aiuto. Da lì è nata l’idea di coinvolgerli con il quiz che poi è parte del mio lavoro”, racconta con orgoglio Fausto Peppi. “I rapporti tra il vicinato erano già buoni prima ma ora con diverse persone si è molto approfondita la conoscenza”.
E ora? "Vorrei fare qualcosa per i bambini, come un cinema all'aperto, utilizzando il parco pubblico fra i condomini, ma mi servirebbe il supporto delle istituzioni. Il giardino non è ben frequentato, specie nella zona che dà sul fiume, e si sono verificati più volte furti nei nostri garage, oltre allo spaccio. Vorrei lanciare il messaggio che il parco è dei bambini”.
The first person vaccinated for Covid-19 in FC /
La prima persona vaccinata per Covid-19 nella provincia di Forli-Cesena, Cesena, 27/12/2020.
The first person vaccinated for Covid-19 in the province of Forli-Cesena, December 27, 2020.
Letizia Battaglia per Lamborghini /
La questione Letizia Battaglia è finita nel solito calderone social dove si estremizza sempre tutto.
Tutto nasce dal servizio svolto dalla fotografa per Lamborghini, nell’ambito del progetto “With Italy, For Italy“.
Se non avete seguito la vicenda, trovate info qui:
Lamborghini rimuove dai social le foto di Letizia Battaglia dopo le proteste del sindaco di Palermo
Il problema è soprattutto il palcoscenico, ma non solo:
1) La massa, specie sui social, ignora la storia dell'artista: è capitato con Butturini, ora con Battaglia, in passato con tanti altri e non è raro che un lavoro venga interpretato in maniera opposta alle intenzioni dell'autore (che sarebbero palesi conoscendone la storia). La massa ha un dizionario limitato e quindi donna + auto darà sempre lo stesso risultato, indipendente da come è posizionata la donna (o ragazza), l'auto, lo sguardo, ecc nell'immagine realizzata.
2) Battaglia ha forse sottovalutato come certe scelte estetiche, simboli e cliché del settore commerciale prevalichino il messaggio di un autore. Purtroppo chi si presta ad un settore che non è il suo, corre il rischio di non riuscire a comunicare efficacemente. La massa ha un dizionario limitato e quindi donna + auto darà sempre lo stesso risultato, indipendente da come è posizionata la donna (o ragazza), l'auto, lo sguardo, ecc nell'immagine realizzata.
3) I fotografi che ne criticano la composizione, le luci bruciate in certi punti e altro, guardano il dito e non la luna. Io da Battaglia non mi sarei aspettato (e non avrei voluto) un lavoro alla Annie Leibovitz: tecnicamente perfetto, ma non autentico, parlando di Battaglia.