Il caso di Gisèle Pelicot
Negli ultimi tempi mi ha colpito molto il caso di Gisèle Pelicot; ne ho seguito gli sviluppi, fino al verdetto del tribunale di Avignone di giovedì 19 dicembre 2024.
L'ex marito, Dominique Pelicot, con cui è stata sposata per quasi 50 anni, è stato condannato a 20 anni di carcere per stupro aggravato. Per circa 10 anni l’ha drogata, somministrandole a sua insaputa un farmaco per renderla incosciente, per poi farla violentare da altri uomini. Secondo la polizia gli stupratori sarebbero almeno 83, gli identificati sono 54, di cui 1 deceduto e 2 rilasciati per insufficienza di prove, quindi 51 a processo.
Dominique Pelicot e una quindicina di imputati si erano dichiarati colpevoli, mentre gli altri avevano ammesso di aver avuto rapporti sessuali con Gisèle Pelicot, contestando però l’accusa di stupro, sostenendo che non fossero consapevoli che lei non avesse dato il suo consenso.
Gisèle Pelicot si è dimostrata una donna forte, che all’inizio della storia ha saputo affrontare con coraggio la terribile notizia ricevuta dalla polizia, cioè del ritrovamento di un archivio di video, chiamato “Abusi”, in cui il marito catalogava in modo ordinato gli stupri che lei subiva.
Gisèle Pelicot ha chiesto che il processo avvenisse a porta aperte - rinunciando alla propria privacy in cambio della nostra consapevolezza - affermando «Que la honte change de camp» (che la vergogna cambi campo), e che quindi non siano le vittime di violenza a doversi vergognare, ma chi la violenza la compie. Inoltre ha continuato a usare il cognome dell'ex marito, durante il processo, affinché i suoi figli e nipoti potessero essere fieri del cognome che portano; così che Pelicot non fosse solo ricordato come il cognome di uno stupratore.
Dominique Pelicot era stato meticoloso non solo nella gestione dell’archivio video, ma anche nella procedura che gli uomini che portava a casa dovevano adottare prima di stuprare sua moglie. Dovevano scaldarsi le mani su un termosifone, prima di entrare in camera da letto. Dovevano spogliarsi in cucina. Non dovevano puzzare di sigaretta o usare profumi, per non lasciare tracce. Se Gisèle si muoveva mentre era in corso uno stupro, Dominique ordinava all’uomo di uscire dalla stanza. Era molto attento a che tutto si svolgesse in sicurezza, ma non ha mai fatto indossare un preservativo. Nemmeno a uno stupratore che era siero-positivo.
Quando Gisèle Pelicot aveva cominciato a lamentare sintomi come la perdita di peso, la caduta dei capelli, le enormi lacune di memoria e le difficoltà a muovere un braccio, Dominique l’aveva portata dal medico, ma non aveva mai smesso di drogarla e di abusare di lei. Quando lei gli aveva detto di avere problemi ginecologici inspiegabili, lui l’ha accusata di tradimento.
Non bastasse questo - che sarebbe più che sufficiente per ritenerla una storia troppo esagerata, se non fosse che è vera - una delle parti più inquietanti riguarda gli uomini coinvolti. Hanno fra i 20 e i 70 anni e svolgono i lavori più disparati: infermiere, camionista, giornalista, vigile del fuoco, muratore e così via. Molti uomini vivevano a poca distanza da casa Pelicot, nel paese di Mazan, che conta appena 6.000 abitanti. Durante il processo sono stati descritti come padri meravigliosi, persone rispettabili e uomini tranquilli.
Questa storia esprime la pretesa maschile di un controllo totale sul corpo delle donne. Ma non solo.
C’è un ulteriore aspetto inquietante. Non mi è mai capitato di leggere che questi 51 uomini a processo avessero precedenti per stupro o reati analoghi. Però hanno stuprato con disinvoltura Gisèle Pelicot. Come è stato possibile?
Probabilmente l’avere il via libera dell’allora marito ha fatto sentire questi uomini legittimati nel compiere una violenza sessuale, non percependo più Gisèle Pelicot come una persona con cui empatizzare, svincolandosi dal dovere di interrogarsi sulla moralità delle loro azioni, percependo la donna solo come un corpo messo a disposizione, su cui riversare macabre fantasie, dominio fisico, sfoghi rabbiosi, frustrazioni e ogni altro sentimento e istinto fra i più reconditi.
Con questo non intendo sminuire quanto avvenuto o giustificare gli stupratori. Tutt’altro. Trovo estremamente preoccupante scoprire quanto una persona, anche la più equilibrata, possa ritrovarsi a compiere le azioni più disgustose e violente verso un proprio simile, se autorizzato da qualcuno.
Il caso di Gisèle Pelicot richiama inevitabilmente un'altra donna e un altro processo. Hannah Arendt, autrice de La banalità del male, analizzò il processo a Adolf Eichmann e la sua percezione del male come qualcosa di ordinario, che può essere perpetrato da persone comuni, quando si trovano a seguire ordini o si sentono autorizzate a farlo.
Il caso di Gisèle Pelicot ribadisce la pericolosità dell'abdicare alla responsabilità personale. Quando una struttura sociale, una figura di autorità o un contesto culturale legittimano il male, ridefinendo le regole sociali, è più facile che le persone vi partecipino, percependolo come "normale" o comunque non condannabile. Sta a ciascuno di noi, come individui e come società, interrogarci continuamente sul valore delle nostre azioni, che abbiano o meno conseguenze dirette su di noi.
News
Il fallito attentato a Donald Trump e la complessità che sfugge al momento decisivo /
Nel numero di ottobre di FotoIT è uscito un mio articolo, nella sezione Saggistica, in cui parlo a mente fredda de "Il fallito attentato a Donald Trump e la complessità che sfugge al momento decisivo".
L'attentato fallito a Donald Trump — ex presidente degli Stati Uniti e candidato repubblicano alle prossime elezioni presidenziali — avvenuto il 13 luglio 2024, mentre teneva un comizio elettorale in una fiera agricola a Butler, in Pennsylvania, ha riportato l'attenzione sulla fotografia, la sua importanza, il suo sfruttamento e la sua crisi di credibilità, ma anche sul modo in cui riceviamo le informazioni e le elaboriamo in pochi minuti, per giungere a delle convinzioni granitiche che difficilmente abbandoneremo una volta espresse sui social network, nei tempi brevissimi che ci impongono per esprimere noi stessi. Un mix di processi, consapevoli e non, che forgiano la nostra percezione del mondo e il nostro prendere posizione rispetto alla realtà.
Olimpiadi di Parigi 2024 e Fake News /
Oggi vicinanza ad Angela Carini.
Domani (forse) scopriremo che anche Imane Khelif è vittima di una narrazione che l'ha dipinta come un uomo che ha fatto irruzione alle olimpiadi, fra le donne. E invece ha affrontato situazioni complesse e persino dolorose, senza trarre chissà quale beneficio dalla sua condizione, in quanto a risultati sportivi (basta guardare il suo palmares).
Dopodomani tireremo lo sciacquone, perché in fondo non ci interessa di loro, ma vogliamo solo posizionarci socialmente e digeriremo un'altra vicenda attuale.
(Si, pure io lo sto facendo con questo post)
Le Olimpiadi di Parigi 2024 ci hanno confermato che non è necessaria l'intelligenza artificiale per generare scandali e polemiche, spesso basati su falsità o sul nulla. E' sufficiente creare storie sensazionalistiche oppure ingiuste che confermano qualche nostro pregiudizio (bias), così da spingerci a parlarne (e a diffonderle) senza attendere approfondimenti o senza verificare personalmente. In particolare diverse fake news hanno come finalità attaccare le persone queer.
1) Le foto delle nuotatrici con sul costume, ad altezza genitali, la scritta "not a dude" (non sono un maschio) sono dei fotomontaggi. Non è mai avvenuta una protesta contro la presenza di persone trans alle Olimpiadi, come si è cercato di far credere.
2) La pugilessa algerina Imane Khelif non è un uomo e non è un trans. E' una donna il cui corpo produce più testosterone della media. Aveva già partecipato a tornei di boxe femminile, ottenendo risultati a volte modesti a volte buoni, venendo sconfitta da altre pugilesse. Si allena con le pugilesse donne, che quindi la conoscono. Non è un uomo che ha fatto irruzione alle Olimpiadi negli sport femminili, insomma.
P.S. L'Algeria non riconosce la transizione di genere, criminalizza l'omosessualità ed è sotto la guida di un regime autoritario, quindi se Imane Khelif fosse un trans, non sarebbe alle Olimpiadi ma in carcere.
3) Un ballerino, al banchetto con le drag queen, avrebbe mostrato un testicolo durante la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi. In realtà si tratta di un buco nelle calze.
4) Il tiratore turco Yusuf Dikec non è un meccanico che è arrivato alle Olimpiadi un po' per caso. E' un atleta che fa uso di meno tecnologia, rispetto ad altri, ma non ha caratteristiche fuori dal comune. Nella sua carriera ha numerose vittorie. Però la sua storia sarebbe risultata meno sbalorditiva se non si fosse associato al suo look sobrio un passato da uomo comune e lontano dall'ambiente delle gare con pistola ad aria.
5) Il politico di Fratelli d’Italia, Lucio Malan, ha denunciato su Twitter la presenza di un elemento, un vitello d'oro, all'inaugurazione delle olimpiadi, che sarebbe risultato il simbolo di un attacco alla cristianità, ignaro che si tratti di toro di bronzo e che sia una scultura presente a Parigi dal 1937.
I festival di fotografia dell’estate, in Italia /
Su Internazionale si parla anche del mio lavoro "He looks like you", in mostra al Fotografia Calabria Festival, a San Lucido (CS), dal 26 luglio al 25 agosto 2024!
[...] Fotografia di famiglie è il titolo della terza edizione del festival raccontato, quest’anno, attraverso lo sguardo di dieci fotografe e fotografi. L’evento è un’occasione per riflettere sul ruolo dell’intelligenza artificiale con il progetto He looks like you di Filippo Venturi. Il suo lavoro ha come protagonisti il padre e il figlio dell’autore mentre giocano e condividono momenti insieme. Si tratta però di falsi ricordi, momenti mai esistiti in posti irraggiungibili: “Mio padre è morto cinque anni prima che mio figlio Ulisse nascesse e quindi non hanno mai avuto occasione di incontrarsi”, scrive Venturi. Il suo lavoro è “un tentativo di trovare consolazione e di superare le frontiere dell’esistenza attraverso l’arte e la tecnologia, generando immagini che fondono illusione, sogno e ricordo”.
Link all’articolo originale: I festival di fotografia dell’estate, in Italia
RIP Donald Sutherland /
RIP Donald Sutherland.
Uno degli attori più importanti, almeno per me.
Se avessi fatto il fotografo di scena (speranza che non ho perso), il set del Casanova di Fellini sarebbe stato uno dei più interessanti in cui sarei voluto essere.
Avrei avuto -4 anni però.
Tower of Babel /
(english below)
Forse non sarà necessario attendere che le immagini e i video generati con l'intelligenza artificiale sommergano le fotografie e i video di documentazione, per alterare in modo irreparabile la narrazione/rappresentazione della realtà.
Già oggi le persone sono estremamente polarizzate e ogni elemento o notizia che ricevono viene digerita, modellata e subito sputata fuori per combaciare con la propria visione delle cose.
Prendiamo l'attentato al Crocus City Hall di Mosca.
Nell'istante in cui è uscita la notizia — quando ancora l'attentato era in corso e non si avevano abbastanza informazioni per comprendere cosa stava succedendo — chi già aveva una certa posizione ha stabilito che dietro c'erano gli USA e/o l'Ucraina.
Quando, poi, è uscita la rivendicazione dell'ISIS, ha stabilito che il mandante erano gli USA e/o l'Ucraina.
Quando i terroristi sono stati arrestati a poca distanza dal confine ucraino e bielorusso, ha deciso che stavano fuggendo in Ucraina.
E quando Lukashenko ha detto che hanno tentato di entrare in Bielorussia, ha pensato che avessero sbagliato strada.
Chi invece aveva la posizione opposta, ha creduto alla rivendicazione dell'ISIS e all'estraneità degli ucraini.
Ha bollato i sospetti russi verso gli ucraini come propaganda finalizzata ad accrescere l'odio dei russi verso gli ucraini.
Ha pensato che i terroristi stessero fuggendo in Bielorussia perché il confine ucraino è pieno di militari russi che lo sorvegliano.
E così via.
E per fare questo non sono serviti fotografie o video generati con l'IA.
A volte diventiamo le cose che sosteniamo pubblicamente, sui social network, e anche se, ad un certo punto, dovesse sfiorarci il dubbio, continuiamo a difenderle perché ormai la strada è stata tracciata.
Il "forse", il "non lo so" e il "mi sono sbagliato" sono diventati sintomi di debolezza.
Questo approccio così ottuso — che esclude il dubbio perché richiederebbe una sospensione sull'interpretazione dei fatti e della realtà e quindi il non poter prendere posizione sui social network, di fatto scomparendo nel silenzio dei prudenti — si ripete ogni giorno per decine di notizie e non può che portare ad una sorta di torre di Babele in cui nessuno capisce più l'altro se non ha una visione del mondo che combacia completamente.
Perhaps it will not be necessary to wait for artificial intelligence-generated images and videos to overwhelm photographs and documentation videos to irreparably alter the narrative/presentation of reality.
Already today, people are extremely polarised and every item or piece of news they receive is digested, shaped and immediately spat out to fit their own view of things.
Take for example the attack on Crocus City Hall in Moscow.
The instant the news came out — when the bombing was still in progress and not enough information was available to understand what was going on — those who already had a certain position established that it was the work of the US and/or Ukraine.
When, then, the ISIS claim came out, they established that the US and/or Ukraine were behind it.
When the terrorists were arrested a short distance from the Ukrainian and Belarusian borders, they decided they were fleeing to Ukraine.
And when Lukashenko said they tried to enter Belarus, they thought the terrorists had taken a wrong turn.
Those who took the opposite position believed the ISIS claim and the extraneousness of the Ukrainians.
They branded Russian suspicions of Ukrainians as propaganda aimed at increasing Russian hatred of Ukrainians.
They thought the terrorists were fleeing to Belarus because the Ukrainian border is full of Russian soldiers guarding it.
And so on.
And to do this we did not need AI-generated photographs and videos.
Sometimes we become the things that we publicly support, on social networks, and even if, at some point, doubt should touch us, we continue to defend them because by now the path has been traced.
The 'maybe', the 'I don't know' and the 'I was wrong' have become symptoms of weakness.
This obtuse approach — which excludes doubt because it would require suspending the interpretation of facts and reality and therefore not being able to take a position on social networks, in fact disappearing into the silence of the doubters — is repeated every day for dozens of news items and can only lead to a sort of tower of Babel in which no one understands the other anymore if they do not have a completely matching worldview.
E' morto Dmitry Markov /
RIP Dmitry Markov.
"A poche ore dalla notizia della morte di Aleksei Navalny, dalla Russia le agenzie di informazione riferiscono della morte, a 42 anni, del fotografo Dmitry Markov, noto per aver documentato con il suo iPhone la Russia sotto il governo di Putin e le proteste del 2021 per la liberazione di Aleksei Navalny."
Fonte
"Russian photographer Dmitry Markov has died at the age of 42, local media in his hometown of Pskov said Friday, citing his friends. Markov, who relied solely on an iPhone for his photography, became famous for capturing images of everyday life in Russia and its regions. His photo of a masked riot police officer sitting under a portrait of Putin became a symbol of the 2021 protests against the imprisonment of Kremlin critic Alexei Navalny."
Source
Il suo canale Instagram: https://www.instagram.com/dcim.ru
A Team for Christian Eriksen /
A team / Una squadra
(@Wolfgang Rattay)
Yuval Noah Harari, Tre lezioni per il futuro /
"L'anno del Covid ha evidenziato il ruolo cruciale che molti lavori pagati poco svolgono nel mantenimento della civiltà umana: infermieri, operatori sanitari, camionisti, cassieri, addetti alle consegne. [...] Nel 2020 i fattorini sono stati il filo rosso che ha tenuto insieme la civiltà. Sono diventati la nostra importantissima linea di comunicazione con il mondo fisico."
Su Internazionale c'è un interessante articolo di Yuval Noah Harari per il Financial Times sulla pandemia. Fra le varie osservazioni che compie, mi rincuora vedere che anche uno storico del suo calibro abbia riconosciuto l'importanza dei fattorini/rider durante il lockdown e che, personalmente, sono stati il primo progetto che ho affrontato nei primissimi giorni in cui eravamo confinati in casa.
Qui l’articolo originale: Yuval Noah Harari: Lessons from a year of Covid
Letizia Battaglia per Lamborghini /
La questione Letizia Battaglia è finita nel solito calderone social dove si estremizza sempre tutto.
Tutto nasce dal servizio svolto dalla fotografa per Lamborghini, nell’ambito del progetto “With Italy, For Italy“.
Se non avete seguito la vicenda, trovate info qui:
Lamborghini rimuove dai social le foto di Letizia Battaglia dopo le proteste del sindaco di Palermo
Il problema è soprattutto il palcoscenico, ma non solo:
1) La massa, specie sui social, ignora la storia dell'artista: è capitato con Butturini, ora con Battaglia, in passato con tanti altri e non è raro che un lavoro venga interpretato in maniera opposta alle intenzioni dell'autore (che sarebbero palesi conoscendone la storia). La massa ha un dizionario limitato e quindi donna + auto darà sempre lo stesso risultato, indipendente da come è posizionata la donna (o ragazza), l'auto, lo sguardo, ecc nell'immagine realizzata.
2) Battaglia ha forse sottovalutato come certe scelte estetiche, simboli e cliché del settore commerciale prevalichino il messaggio di un autore. Purtroppo chi si presta ad un settore che non è il suo, corre il rischio di non riuscire a comunicare efficacemente. La massa ha un dizionario limitato e quindi donna + auto darà sempre lo stesso risultato, indipendente da come è posizionata la donna (o ragazza), l'auto, lo sguardo, ecc nell'immagine realizzata.
3) I fotografi che ne criticano la composizione, le luci bruciate in certi punti e altro, guardano il dito e non la luna. Io da Battaglia non mi sarei aspettato (e non avrei voluto) un lavoro alla Annie Leibovitz: tecnicamente perfetto, ma non autentico, parlando di Battaglia.