Laboratorio fotografico "A scuola di cittadinanza" by Filippo Venturi

In questi giorni ho iniziato un nuovo laboratorio fotografico, in collaborazione col Comune di Ravenna, che coinvolge 50 studenti di una scuola superiore e affronta il loro rapporto con le elezioni amministrative :)

Un percorso impegnativo, ma ricco di stimoli e soddisfazioni!

Intervista per The Dummy's Tales by Filippo Venturi

E’ uscita oggi, sul blog “The Dummy's Tales” di Francesca Interlenghi, una mia intervista sul lavoro “Korean Dream”, in mostra a Riaperture – il Festival della Fotografia di Ferrara, che inaugurerà il prossimo 10 settembre!

L’intervista è disponibile a questo link: Filippo Venturi, Korean Dream
Questo il sito ufficiale del Festival: www.riaperture.com
Di questo Festival e della mia partecipazione, ne ho scritto anche qui: Riaperture Photofestival Ferrara

Cover Story su D La Repubblica by Filippo Venturi

Ieri, su D - la Repubblica, come Cover Story, è uscito un mio lavoro fotografico inedito rappresentato con 10 immagini. Grazie a Manila Camarini per averci creduto!

Il progetto My Dear al SI Fest 2021 by Filippo Venturi

Fotografia di Salome San Martin

Fotografia di Salome San Martin

Con grande piacere e orgoglio, la mostra del progetto “My Dear” sarà esposta alla 30° edizione del SI Fest, il Festival della Fotografia di Savignano sul Rubicone. Inoltre sarà presentato il libro realizzato col frutto del Laboratorio e pubblicato da emuse :)

Le testimonianze fotografiche delle 15 donne protagoniste del laboratorio - Barbara, Graziella, Ilaria, Ilaria, Khadija, Kinga, Livia, Lorenza, Mariama, Marina, Nadiia, Salomè, Svetlana e Yujuan - troverà visibilità e possibilità di “ascolto”, in uno dei Festival più longevi e importanti in Italia!

MY DEAR - Diario visivo della quotidianità di 15 donne di 9 nazionalità
a cura di Filippo Venturi e Associazione Between

Le protagoniste del progetto My Dear, tramite delle usa e getta da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive), si sono focalizzate su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa della pandemia. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze composto da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutti convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Maggiori informazioni qui: mydearproject.eu
Link al sito ufficiale del Festival: SI Fest

Riaperture Photofestival Ferrara by Filippo Venturi

Con grande piacere, sarò presente alla prossima edizione del Riaperture Photofestival Ferrara appena annunciata, a partire da settembre, con la mostra del mio lavoro “Korean Dream” sulla Corea del Nord, assieme a tanti altri fotografi importanti che stimo :)
Inoltre presenterò il libro
“Korean Dream, Made in Korea”, edito da emuse, che racchiude i due progetti che ho svolto sulla Corea del Nord e del Sud!

Questo il sito ufficiale del Festival: www.riaperture.com

Di seguito il comunicato ufficiale dell’organizzazione:

Ideale, questo è il tema della V Edizione di Riaperture Photofestival Ferrara che si pone come un esercizio di fantasia, una proiezione immaginifica in tensione verso l’assoluto senza mai raggiungerlo, ma capace di cambiare i passi in un vero e proprio percorso. Nella sua apparente inconsistenza, ogni ideale è in grado di trasformare tanto la società quanto l’esistenza di ogni singolo individuo; ed è proprio su questo grande trasporto che tanti fotografi di calibro internazionale si sono interrogati e confrontati. Giacomo Brini, Presidente di RIAPERTURE APS, è intervenuto durante la conferenza stampa di presentazione, assieme a Marco Gulinelli, Assessore alla Cultura del Comune di Ferrara, Roberto Isella, coordinatore del World Water Day Contest - Lions Club Seregno, Federica Zabarri, docente del Liceo Artistico Dosso Dossi (in rappresentanza del corpo docente delle quattro classi 5° che hanno collaborato con il Festival), Federico Magnani, proprietario del Principessa Pio Agriturismo (in rappresentanza della collaborazione con alcune strutture ricettive della città, sedi del Circuito OFF Ideale 2021) e un membro rappresentante dei CNA Ferrara, annunciando le prime novità della V edizione di Riaperture PhotoFestival 2021.

LE MOSTRE E I LUOGHI DI RIAPERTURE PHOTOFESTIVAL 2021

Luoghi particolarmente suggestivi e normalmente non accessibili al pubblico si trasformeranno in veri e propri spazi espositivi temporanei a partire dal 10 settembre e fino al 03 ottobre, tutti i venerdì, sabato e domenica. I siti dismessi ospiteranno i progetti ideali firmati dai grandi nomi della fotografia e dai nuovi talenti. Si viaggerà per il travagliato Est Europa, e più precisamente per le Donbass stories, con gli scatti del fotoreporter Giorgio Bianchi, in compagnia dei protagonisti Spartaco e Liza. Si farà anche tappa in Corea con Korean Dream, immortalati dal fotografo documentarista Filippo Venturi. Con Alessandro Cinque, si attraverserà il focoso Cile con Chile Despertò, mentre con il progetto Chas Chas di Luis Cobelo, ci si immergerà in un’atmosfera magica che omaggia Buenos Aires grazie ad un particolare quartiere poetico conosciuto come Parque Chas. Ci si salverà rifugiandosi nei chiaroscuri firmati da Francesco Comello de L’isola della salvezza, per poi immergersi nel progetto Drowning World project – SUBMERGED PORTRAITS di Gideon Mendel, fino a incontrare tutto il mondo al Jova Beach Party di Francesco Faraci. Si rifletterà sui tanti cambiamenti avuti con l’arrivo del famigerato Covid-19 con When Everything Changed Covid-19: The European Epicenter di Fabio Bucciarelli, e si racconteranno i tanti colori dell’amore con il progetto Rainbow Families firmato da Eleonora Calvelli. L’amore è un tema che ritorna anche nel film di Serena Vittorini dal titolo En ce moment, dove due giovani donne si incontrano e si innamorano durante il ferreo lockdown imposto dal Covid-19. Della stessa autrice sarà presente anche il progetto Through you, un lavoro audiovisivo che raccoglie una serie di conversazioni che la Vittorini ha avuto con persone conosciute tramite una comune app di incontri dopo la rottura con la sua compagna. Oltre che sull’uomo è giusto acuire lo sguardo anche sulla natura e alle sue intrinseche potenzialità, e a farlo è Marco Buratti con Bio Minds: dalla natura per la natura. Dalla natura si passa ai Fiori Nudi, femminili e profondi, di Arianna Genghini per poi perdersi nei marcati contrasti della fotografa Lea Meienberg di È Così la Vita – An Ode to Standstill e, successivamente far albergare lo sguardo nelle Cento case popolari di Fabio Mantovani. Ad animare la V edizione - IDEALE di Riaperture PhotoFestival ci sarà anche un progetto firmato da Franco Fontana, come anche quello dell'artista visiva Christy Lee Rogers, Christy Lee Rogers for Water Day Photo Contest, che si compone di due collezioni ben distinte: MUSE e HUMAN. Il progetto si inserisce all'interno del concorso fotografico internazionale, World Water Day Photo Contest, indetto ogni anno dal Lions Club Seregno AID che organizza mostre ed eventi con l'intento di sensibilizzare le coscienze sull'importanza dell'acqua come diritto fondamentale dell'umanità. La mission del concorso è anche quella di raccogliere fondi per favorire i sistemi di potabilizzazione dell'acqua nei paesi dalle risorse limitate, tant'è che risulta in fase di ultimazione il progetto Koom la viim per la realizzazione di un pozzo e di sistemi di irrigazione in Burkina Faso, co-finanziato proprio dal World Water Day Photo Contest. Il tema della quinta edizione del contest, concluso il 22/03/2021 Giornata Mondiale dell'Acqua, e della mostra itinerante è Valuing Water – Il valore dell’acqua. […]

Conferenza stampa di Presentazione della V edizione del Riaperture Photofestival Ferrara, 30/06/2021

Conferenza stampa di Presentazione della V edizione del Riaperture Photofestival Ferrara, 30/06/2021

Intervista con Emuse sul Laboratorio My Dear by Filippo Venturi

E’ uscito sul sito della Casa Editrice emuse, una intervista nella quale parlo dell’ultimo libro fatto insieme, “My Dear”, che contiene il risultato del Laboratorio fotografico omonimo che ho condotto, in collaborazione con l’associazione Between, nell’ambito del progetto europeo Shaping Fair Cities. Questo laboratorio ha visto protagoniste 20 donne di 9 nazionalità diverse!

L’articolo originale è disponibile qui: emuse incontra Filippo Venturi nella veste di insegnante e divulgatore di progetti fotografici

IL LIBRO

Fotografie di: Barbara Kulik, Graziella Paganelli, Ilaria Liu, Ilaria Zozzi, Khadija M'Goun, Kinga Paprota, Livia Cartas, Lorenza Fabbio, Mariama Dieng, Marina Bellavista, Nadiia Kovalchuk, Salomè Emperatriz San Martin, Svetlana Mocanu, Yujuan Chen.

Testi di:
Luciana Garbuglia (presidente dell’Unione Rubicone e Mare), Valeria Gentili (presidente dell’Associazione di promozione sociale Between), Elena Dolcini (Curatrice e Critica d’arte), Filippo Venturi (Fotografo e Docente del laboratorio)

Casa editrice Emuse, ISBN: 978-88-32007-42-8
Direttore editoriale: Grazia Dell’Oro
Coordinamento editoriale: Filippo Venturi
Progetto grafico: Denis Pitter

Il laboratorio “My Dear”, inserito all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities, è stato rivolto a venti donne che vivono in Romagna (a Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant'Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli e Gatteo) e coinvolte dall’Associazione Between. Le protagoniste sono di nove nazionalità diverse (italiana, rumena, polacca, bulgara, ucraina, cinese, peruviana, senegalese e marocchina), hanno un range di età che va da 22 a 65 anni e lavorano in diversi ambiti: assistenti familiari, impiegate, operaie, mediatrici culturali, bariste, ecc.

La finalità del laboratorio era il perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Alle donne coinvolte nella realizzazione di un proprio progetto fotografico, sono state assegnate delle macchine fotografiche usa e getta con rullini da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive che hanno richiesto l'uso di altri mezzi). Questa scelta è stata dettata dal desiderio di fornire uno strumento di lavoro dedicato, che non fosse fonte di distrazione (come può essere uno smartphone) e col quale fosse necessario fermarsi a riflettere prima di fotografare, avendo un numero predefinito di tentativi. Avere delle limitazioni (di spostamento a causa della pandemia, di numero di scatti realizzabili, ecc.) spinge le persone a prendere coscienza della situazione e a ingegnarsi per trovare una via per esprimersi.

Il laboratorio è stato avviato nell’autunno 2020 ed è durato circa sei mesi. L’ideazione e la progettazione risalivano a dodici mesi prima, quando ancora le nostre vite non erano state stravolte dal Covid-19. La pandemia ha trasformato questo percorso rendendolo tortuoso e mettendone a rischio il raggiungimento del traguardo ma, presto, ha reso più coeso il gruppo, consentendogli di attraversare la tempesta e uscirne rafforzato.

La condivisione delle difficoltà nel periodo di emergenza sanitaria, gli stratagemmi digitali per mantenere il contatto anche quando il lockdown impediva di incontrarsi, il desiderio di raccontare con la fotografia le proprie vite, ha portato a un risultato profondo e interessante. Come spesso accade, le esperienze più segnanti sono quelle che si portano a termine fra imprevisti e difficoltà.

I progetti realizzati si sono focalizzati su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa del distanziamento sociale e dei dispositivi per prevenire il contagio. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze costellato da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutte convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Lo strumento fotografico per un lungo periodo è stato riservato a pochi professionisti. Da diverso tempo però si è assistito a un rapido processo di “democratizzazione” della fotografia. Chiunque può scattare una fotografia, anche senza strumentazione specifica, e può avere un ruolo da protagonista nel flusso comunicativo. Non solo, con le fotografie si può contribuire ad attivare processi sociali e influenzare la percezione pubblica.

L’INTERVISTA

Filippo Venturi ha recentemente organizzato un laboratorio fotografico in collaborazione con l’associazione Between nell’ambito del progetto europeo Shaping Fair Cities. Il laboratorio ha coinvolto venti donne di diverse nazionalità residenti in Romagna e dai loro lavori è nato un libro edito da emuse: My Dear.

Grazia Dell’Oro l’ha intervistato.

Filippo, durante questo ultimo anno, nonostante la situazione pandemica, sei stato molto attivo. Hai prodotto lavori che sono stati pubblicati su importanti riviste. In che modo questa nuova situazione che stiamo vivendo ti ha stimolato?
Inizialmente la pandemia ha rappresentato un blocco: oltre a dover rinunciare ad un grosso progetto in Cina, molti eventi che avrei dovuto documentare solo saltati. Per fortuna, pochi giorni dopo l’inizio del primo lockdown in Italia, qualcosa è scattato dentro di me e ho iniziato a documentare la pandemia sotto tutti i punti di vista che ritenevo interessanti. Solitamente non lavoro sulla stretta attualità, ma in questo caso mi sono trovato proprio al centro dell’attualità (l’Italia è stato il primo paese occidentale a subire i primi gravi effetti del Covid-19). Il primissimo lavoro che ho svolto è stato ritrarre e intervistare 40 rider sul cancello di casa mia; un’idea semplice ma efficace per adattarmi ai limiti imposti dal lockdown e che ha colpito molto i photoeditor di The Guardian che gli hanno dato ampio spazio. Poi, spinto dai primi buoni risultati, ho continuato la mia documentazione anche all’esterno, nel mio quartiere, in ospedale, nelle case dei malati, nel settore teatrale, ecc. e sono arrivate pubblicazioni su The Washington Post, Marie Claire, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, ecc. È stata una esperienza molto formativa e positiva. Sono soddisfatto della reazione che ho avuto: tentare di rimanere lucido e attivo. Penso che ciò mi abbia permesso anche di non subire troppo gli effetti psicologici negativi di questo evento epocale.

My Dear è stato pensato come laboratorio di fotografia partecipativa. Come è nato e quale è stato l’intento del lavoro che hai condotto con le donne che hanno aderito?
Da alcuni anni mi è capitato di essere coinvolto, da parte di alcune Associazioni con cui avevo già collaborato, in alcuni progetti finanziati dall’Unione Europea o da altri Enti statali. È un settore che, se sfruttato a dovere (non a caso ci sono professionisti che si specializzano nel cercare questi bandi e nel preparare i progetti), consente di accedere a risorse importanti per sviluppare percorsi molto utili a livello sociale e anche artistico. Il laboratorio My Dear nasce all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities ed ha come finalità perseguire l’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030, cioè “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Credo che si possa dire che gli esiti del laboratorio sono stati superiori alle aspettative, per qualità e coerenza dei lavori fotografici. Quando ti sei reso conto che, in qualche modo, l’idea aveva attecchito?
In una prima fase mi ha colpito notevolmente la partecipazione delle venti donne che si sono interessate al laboratorio. Con la pandemia che colpiva ripetutamente il paese e rendeva impossibile condurre una vita sociale normale, mi ero rassegnato a veder ridursi il numero delle partecipanti, invece c’è stato uno spirito di adattamento notevole: se non potevamo incontrarci di persona, organizzavamo delle webcall, se non tutte riuscivano ad essere presenti, organizzavamo delle sessioni dedicate in qualunque giorno della settimana e orario. Se nemmeno quello era possibile, usavamo Whatsapp per comunicare, vedere il materiale prodotto e confrontarci. A livello umano è stata una esperienza incredibile e questo desiderio comune di portare a termine il percorso iniziato insieme avrebbe rappresentato già un grande traguardo. Poi, vedendo il frutto dei loro progetti, pur non essendo fotografe esperte, mi rendo conto che il risultato è andato oltre ogni aspettativa!

Come intendi sviluppare le esperienze che stai raccogliendo come insegnante o animatore di gruppi che hanno come obiettivo l’indagine sul tema dell’identità attraverso il mezzo fotografico?
Fino a qualche anno fa non mi vedevo a tenere corsi di fotografia (ero molto concentrato su di me e i miei progetti) eppure, assecondando alcune richieste, ho scoperto che mi piace insegnare. Lo stesso è accaduto con questi laboratori dove, oltre all’insegnamento, c’è una fase importante di incontro e conoscenza con i partecipanti e sviluppo di progetti individuali che però siano legati da un filo conduttore. Ho ricevuto diverse proposte per continuare a lavorare anche in questo settore e un paio di progetti saranno avviati questa estate e nel prossimo autunno. Anche questi li sento ormai come “miei progetti”, semplicemente sono svolti come se io e i partecipanti fossimo una sorta di collettivo.

Filippo, ci siamo conosciuti in occasione dei tuoi lavori Made in Korea & Korean Dream, un ambizioso progetto che intendeva mettere in relazione e a confronto le due Coree, gli esiti differenti di una storia tanto comune quanto, da un certo momento in poi, divergente. Come senti quei due lavori a qualche anno di distanza?
Sono lavori che stanno invecchiando bene. Le tematiche su cui ho focalizzato i due capitoli del progetto, uno sulla Corea del Sud e l’altro su quella del Nord, sono ancora molto attuali e i lavori, pur a distanza di diversi anni, stanno attirando ancora attenzioni, riconoscimenti e proposte espositive (alcune sono in sospeso, in attesa di capire come svolgerle compatibilmente con l’emergenza sanitaria). Sicuramente rappresentano un passaggio importante nel mio percorso di fotografo documentarista e anche come autore. A proposito, nel corso dell’ultimo anno mi sono annotato diversi temi e fenomeni, sempre riguardanti la penisola coreana, che vorrei approfondire e non escludo di tornarci nel prossimo futuro!

Filippo Venturi è nato a Cesena nel 1980. Fotografo documentarista. Realizza progetti su storie e problematiche riguardanti l’identità e la condizione umana. I suoi lavori sono stati pubblicati su giornali come The Washington Post, The Guardian, Financial Times, Newsweek, Geo, Vanity Fair e Internazionale. Negli ultimi anni si è dedicato a un progetto sulla penisola coreana. Insegna fotografia e conduce workshop fotografici nell’ambito di diversi progetti europei.

Con emuse ha pubblicato Made in Korea & Korean Dream.

Interchange Festival, Batumi (Georgia) by Filippo Venturi

(English version below)

Nei giorni scorsi ha inaugurato il Festival Interchange di Batumi (in Georgia), dove è esposto anche il mio lavoro sul Kazakistan “2030 Birth of a Metropolis”, grazie al premio vinto l’anno scorso! Una anteprima del lavoro è visibile qui: 2030 Birth of a Metropolis.

Il 6 luglio 2018 (Capital Day) il Kazakistan ha festeggiato il 20° anniversario della capitale, Astana.
In precedenza era Almaty a godere di questo ruolo ma, nel 1997, il presidente Nazarbayev decise di nominare una nuova capitale in posizione più centrale, lontana da zone altamente sismiche e progettata a tavolino per trasformare quella che era una città di provincia (Akmola, rinominata Astana nel 1998) in una delle metropoli più moderne al mondo.

Per raggiungere il suo scopo, il Kazakistan ha sfruttato gli enormi giacimenti di risorse naturali che possiede (il solo petrolio costituisce il 20% del PIL, il 50% delle entrate di bilancio e il 60% delle esportazioni). Il progetto, che dovrebbe completarsi nel 2030, prevede che la capitale spazierà su un'area complessiva di 710 km². Dietro il sogno di Astana c’è Nursultan Nazarbayev, alla guida del paese da 28 anni e che, nelle ultime elezioni del 2015, ha ottenuto l’ennesima conferma come Presidente con il 97,75% dei voti.

Astana è una città in costruzione ma già oggi sfoggia uno skyline futuristico a cui hanno contribuito archistar internazionali come il giapponese Kisho Kurokawa e l’inglese Norman Foster. “La Dubai della steppa” — così viene chiamata — non mostra più traccia delle vecchie atmosfere sovietiche, ma rappresenta una città avveniristica, un desiderio di futuro e ricchezza, un’utopia di vetro e di riflessi che esibisce l’ambizione di un paese intero di ottenere il riconoscimento internazionale dal punto di vista politico e strategico, al centro dell’Eurasia e lungo la nuova Via della Seta.

Alla vertiginosa crescita artificiale dell’architettura e dei costi per vivere nella città non sta però corrispondendo un’altrettanto rapido aumento della popolazione: oggi di 800.000 persone, ma nelle previsioni avrebbe dovuto toccare il milione già nel 2012.

* Nel marzo 2019 il Parlamento ha cambiato il nome di Astana in Nur-Sultan, in onore del presidente dimissionario Nursultan Nazarbayev (che ha comunque mantenuto altre cariche importanti che gli consentono di governare il paese).

(Testo in italiano sopra)

In recent days, Interchange Festival inaugurated in Batumi (Georgia), where my work on Kazakhstan “2030 Birth of a Metropolis” is also exhibited. A preview of the work is visible here: 2030 Birth of a Metropolis.

On July 6th 2018 (Capital Day) Kazakhstan has celebrated the 20th anniversary of the capital city, Astana.
Almaty had enjoyed previously that role, but in 1997 President Nazarbayev decided to appoint a new capital city, set in a more central position far away from highly seismic zones and, most of all, designed to transform a small regional town (Akmola, renamed Astana in 1998) in one of the most modern metropolis in the world.

To reach its goal, Kazakhstan has exploited its massive reserves of natural sources (petrol on its own accounts for 20% of its GDP, 50% of financial income and 60% of export). The project shall be completed in 2030 and it implies that the capital will cover a total area of 710 km2.
Behind Astana’s dream there is Nursultan Nazarbayev, who has lead the country for 28 years and has been confirmed as President at the last election in 2015 with the 97, 75% of the votes.

Astana is still under construction, but even today it shows a futuristic skyline achieved with the contribution of international world-renewed architects such as the Japanese Kisho Kurokawa and the English Norman Foster. In “The Dubai of the steppe” — as it is called — there is no more trace of the old Soviet atmospheres: Astana today represents a forward-looking city, a desire of future and prosperity, an utopia made of glass and reflections which shows off the entire country ambition to be internationally recognized as the political and strategic Eurasian centre, along the new Silk Road.

The population, which is today of 800.000 people: in the forecast it should have already reached one million in 2012. To the staggering architectural growth and the increase of the cost of living did not correspond an equally fast increase of the population wealth; most of the inhabitants are forced to live in the city’s outskirts.

* In March 2019, the Parliament changed the name of Astana to Nur-Sultan, in honor of the outgoing president Nursultan Nazarbayev (who nevertheless retained other important positions that allow him to govern the country).

E' uscito il libro sul Progetto My Dear by Filippo Venturi

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Fotografie di: Barbara Kulik, Graziella Paganelli, Ilaria Liu, Ilaria Zozzi, Khadija M'Goun, Kinga Paprota, Livia Cartas, Lorenza Fabbio, Mariama Dieng, Marina Bellavista, Nadiia Kovalchuk, Salomè Emperatriz San Martin, Svetlana Mocanu, Yujuan Chen.

Testi di:
Luciana Garbuglia (presidente dell’Unione Rubicone e Mare), Valeria Gentili (presidente dell’Associazione di promozione sociale Between), Elena Dolcini (Curatrice e Critica d’arte), Filippo Venturi (Fotografo e Docente del laboratorio)

Casa editrice Emuse, ISBN: 978-88-32007-42-8
Direttore editoriale: Grazia Dell’Oro
Coordinamento editoriale: Filippo Venturi
Progetto grafico: Denis Pitter


Il laboratorio “My Dear”, inserito all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities, è stato rivolto a venti donne che vivono in Romagna (a Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant'Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli e Gatteo) e coinvolte dall’Associazione Between. Le protagoniste sono di nove nazionalità diverse (italiana, rumena, polacca, bulgara, ucraina, cinese, peruviana, senegalese e marocchina), hanno un range di età che va da 22 a 65 anni e lavorano in diversi ambiti: assistenti familiari, impiegate, operaie, mediatrici culturali, bariste, ecc.

La finalità del laboratorio era il perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Alle donne coinvolte nella realizzazione di un proprio progetto fotografico, sono state assegnate delle macchine fotografiche usa e getta con rullini da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive che hanno richiesto l'uso di altri mezzi). Questa scelta è stata dettata dal desiderio di fornire uno strumento di lavoro dedicato, che non fosse fonte di distrazione (come può essere uno smartphone) e col quale fosse necessario fermarsi a riflettere prima di fotografare, avendo un numero predefinito di tentativi. Avere delle limitazioni (di spostamento a causa della pandemia, di numero di scatti realizzabili, ecc.) spinge le persone a prendere coscienza della situazione e a ingegnarsi per trovare una via per esprimersi.

Il laboratorio è stato avviato nell’autunno 2020 ed è durato circa sei mesi. L’ideazione e la progettazione risalivano a dodici mesi prima, quando ancora le nostre vite non erano state stravolte dal Covid-19. La pandemia ha trasformato questo percorso rendendolo tortuoso e mettendone a rischio il raggiungimento del traguardo ma, presto, ha reso più coeso il gruppo, consentendogli di attraversare la tempesta e uscirne rafforzato.

La condivisione delle difficoltà nel periodo di emergenza sanitaria, gli stratagemmi digitali per mantenere il contatto anche quando il lockdown impediva di incontrarsi, il desiderio di raccontare con la fotografia le proprie vite, ha portato a un risultato profondo e interessante. Come spesso accade, le esperienze più segnanti sono quelle che si portano a termine fra imprevisti e difficoltà.

I progetti realizzati si sono focalizzati su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa del distanziamento sociale e dei dispositivi per prevenire il contagio. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze costellato da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutte convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Lo strumento fotografico per un lungo periodo è stato riservato a pochi professionisti. Da diverso tempo però si è assistito a un rapido processo di “democratizzazione” della fotografia. Chiunque può scattare una fotografia, anche senza strumentazione specifica, e può avere un ruolo da protagonista nel flusso comunicativo. Non solo, con le fotografie si può contribuire ad attivare processi sociali e influenzare la percezione pubblica.

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Reportage per Internazionale by Filippo Venturi

Su Internazionale è uscito il mio servizio fotografico su Ravenna, dove “è in corso una battaglia che va ben oltre i confini della città: si tratta di capire come produrre e consumare energia in Italia nei decenni a venire”. Reportage di Marina Forti. Photoeditor: Giovanna D’Ascenzi.

Qui il link all’articolo: Ravenna è il banco di prova per il futuro energetico in Italia